Pigliaru e Cappellacci, gemelli diversi

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di Vindice Lecis

Pigliaru come Cappellacci? Un tempo il paragone sarebbe forse suonato offensivo. Ma ora, la similitudine tra i due presidenti della giunta regionale della Sardegna – l’attuale, liberista renziano e il disastroso predecessore berlusconiano – non è certo azzardato perché le differenze politico-etico-programmatica tra il (fu) centro-sinistra e la destra si sono fatte labili e quasi impalpabili. Ma, attenzione. Non si tratta soltanto della concezione dell’autonomia regionale, sacrificata sull’altare di pratiche eminentemente rivendicative e subalterne al neo centralismo imposto, in particolare, da Renzi. La similitudine imbarazzante ruota attorno ai corposi interessi e al modo di convivere con essi piegandoli o meno a vantaggio dei Sardi.

Sanità e urbanistica sono le riforme che Pigliaru e la sua giunta di professori e di funzionari regionali stanno tentando di imporre con ogni mezzo alla Sardegna. Si tratta di grumi di interessi strettamente intrecciati. Curiosamente nei pressi di queste riforme, c’è sempre il Qatar. Nessuna accusa specifica, solo una elementare constatazione. Non risulta che nel programma del (fu) centro-sinistra fosse previsto uno stravolgimento della legge urbanistica e questo tipo di governo del territorio. Non si ricorda che fosse anche prevista una riforma tale da stravolgere la rete sanitaria pubblica.

Ciò che colpisce della giunta Pigliaru, non sono soltanto gli errori, le gaffes, le umiliazioni, le incapacità (lo Stato ha impugnato già la Finanziaria 2016, l’assestamento di Bilancio, leggi come l’istituzione di Forestas e dell’Agenzia sarda delle entrate, ora anche la legge omnibus sull’urbanistica). No, non si tratta solo di questo. Quanto della assoluta e totale incapacità di ascolto. Costoro trattano i sardi come studenti universitari sotto esame. Loro onniscenti, gli altri a subire.

Prendiamo il disegno di legge urbanistica contro il quale sta crescendo un forte movimento di protesta e di contestazione radicale. Persino la sottosegretaria ai Beni culturali, Ilaria Borletti Buitoni (che non risulta essere bolscevica e fondamentalista ambientalista) ha rimarcato con forza la continuità tra le politiche urbanistiche della destra e quelle del (fu) centro-sinistra a trazione renziana (perché il problema è proprio questo: il Pd con i suoi proconsoli e vassalli nell’isola, tremebondi e privi di autonomia). Non reggono costoro il confronto, il dialogo. Non mettono in conto di cambiare, di accettare suggerimenti. Si sentono forse al centro di una manovra di chissà quali poteri o del mitico partito del No.

L’assessore Erriu ha replicato con inusitata violenza verbale al Soprintendente di Cagliari-Oristano-Sud Sardegna, Fausto Martino. Come ha fatto stizzito contro la sottosegretaria lo stesso presidente Pigliaru con una lettera al calor bianco inviata al premier Gentiloni. Vietato disturbare anche sulla sanità. La riforma non piace a nessuno, a partire dai sindaci e dalle comunità. Eppure costoro vanno avanti invece di azzerare le proposte o di trasformarle radicalmente.

Perché questa ottusità? Quali interessi, certamente legittimi, si vogliono vellicare? Perché questo restare sulle barricate con proposte francamente indifendibili? Lo stesso atteggiamento del capo scuola Renzi che con il referendum (ma anche con lo Sblocca Italia e specialmente sulla Buona Scuola) è andato a sbattere. Così come sta facendo l’allegra brigata tecnico-professorale che guida la Sardegna da una cattedra.

Ps: mi si ribatte spesso, con qualche ragione: si va bene, e l’alternativa? Dico subito che non credo a raggruppamenti da “partito della nazione sarda”, ammucchiate dove gli interessi decantano e fermentano. Un mezzo imbroglio. C’è già il Pd pigliatutto per questo. Chi dice che destra e sinistra non esistono più, ha ragione se si ritiene che Pigliaru sia di sinistra. E sappiamo tutti che così non è. Mantengo forti dubbi su piattaforme identitarie dove c’è tutto e il contrario di tutto, dove si parla genericamente di bene della Sardegna ma dove non leggo quasi mai prese di posizione su questioni economico sociali dalla parte dei lavoratori e dei disoccupati. Resto in attesa che la sinistra batta un colpo. Ma ho forti dubbi che questo accadrà. A scanso di equivoci dichiaro che la mia idea di Sardegna non è arcadico-bucolica e un posto decisivo deve avere una nuova industrializazione legata ai territori. Senza industria e con questo turismo sempre più anelante cubature rischiamo di diventare la Cuba di Batista prima di Castro.

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