Il pendolo di Mdp-Art1: ma vogliono davvero un’alternativa al Pd?

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di Vindice Lecis

Solo in Italia accade che i protagonisti di una scissione, aspirino a riprendere il dialogo e a stringere alleanze con quello stesso partito che hanno appena lasciato. La domanda giunge spontanea: perché mai ve ne siete andati? Potevate restare a fare la bella statuina come Cuperlo o l’oppositore di sua maestà come Orlando. Ma se ve ne siete andati perché ora riproponete atteggiamenti manovrieri spacciati per alta strategia?

Ricordo quanto è accaduto ma unicamente per chi è appena tornato da un viaggio su Marte, dove non arrivano i giornali italiani e gli echi delle vicende politiche nostrane. Dunque, un bel gruppo di dirigenti e padri nobili del Pd – tra cui Bersani e D’Alema – stanchi di prendere ceffoni e di non riuscire a restituirli con efficacia, hanno abbandonato qualche tempo fa il partito di Renzi. E hanno formato un nuovo raggruppamento con l’obiettivo dichiarato di operare una decisa discontinuità con le politiche di destra e liberiste di quel partito. Sono usciti ovviamente “da sinistra” ma hanno ambizioni poco più che modeste: rifare cioè il centrosinistra.

La pattuglia di parlamentari demoprogressisti è di sicuro valore, ma si è infilata in questi mesi nei labirinti dell’esco-non esco dall’aula, della non sfiducia, della non opposizione, del senso di responsabilità nei confronti di Gentiloni. Atteggiamenti che risentono della formazione, degli obiettivi e dell’indole dei suoi uomini più importanti, vale a dire Bersani e D’Alema. Il secondo, autentico frontman del Mdp-Articolo 1, non riesce a imporre ai suoi la necessaria carica di radicalità che è cosa assai diversa dalla bonomia riformistica del primo. Mdp ha scelto come leader il giovane Roberto Speranza ma, ben presto, dentro la formazione sono emerse le vere contraddizioni su ciò che dovrebbe essere il perno della strategia: il rapporto col Pd.

La prima inspiegabile scivolata è stata sul nome del leader “del campo largo”. Pisapia diventa il federatore da imporre a tutta la sinistra, spinto da una impressionante campagna di stampa. Bersani lo incorona improvvisamente in una piazza come da un predellino qualsiasi. Pisapia comunque li delude subito. Solo apparentemente ha una visione tattica ondivaga ma la sua Cosa arancione ha invece un’ossessione spacciata per realismo: senza il Pd non si può fare il centro sinistra. Come è andata, lo vediamo ora che l’ex sindaco medita l’abbandono, forse solo per non sentire i consigli e le insolenze di Gad Lerner e Bruno Tabacci. E comunque, mesi e mesi sono andati persi tra interviste e interventi pubblici che si contraddicevano giorno per giorno.

Mentre si radica nei territori – unica strada seria per fare politica – Mdp sembra ossessionato dall’accusa renziana di essere il “partito del 3%” e di volersi rinchiudere nel “recinto dell’identità”. Ecco perché invece di lavorare con convinzione per un’intesa a sinistra, ha rilanciato a sorpresa il confronto col Pd. Un capolavoro. I demoprogressisti vivono contraddizioni profonde: dialogano a sinistra nei convegni ma allo stesso tempo non vogliono essere percepiti come pienamente alternativi al Pd. Non si spiega altrimenti l’apertura, nonostante il voto di fiducia sul rosatellum, a Renzi da parte di Speranza. Come si fa a chiedere a quel partito una riscrittura della legge elettorale al Senato e una discontinuità sulle scelte del governo? Una mossa risultata sterile nei risultati.

Renzi e i suoi hanno detto, naturalmente, di no ma si godono dal treno lo spettacolo di una sinistra che voleva imitare Corbyn ma che tremebonda ha paura della sfida aperta. Ha dunque ragione Tomaso Montanari, leader di Libertà e Giustizia rimproverando questa schizofrenia (Il fatto del 23 ottobre) nel dire che “il centro sinistra non ha alcun senso così come non ha senso pensare di vincere le elezioni al centro”.

Vedremo ciò che faranno Bersani e Speranza. Ma è interessante capire che cosa faranno anche Sinistra Civica di Montanari e Falcone, Sinistra Italiana di Fratoianni e Possibile di Civati. Mentre parlano di tattiche, strategie, aperture e assemblee fondative, qualcuno sta già per incoronare un nuovo leader scelto a tavolino: dopo Pisapia adesso in molti stravedono per Grasso, il presidente del Senato (Bolrini sembra infatti già tramontata). E sarà anche utile registrare, sempre a sinistra, se questo sarà il tempo dell’unità – anche se solo programmatico-elettorale – tra i comunisti del Pci di Alboresi e quelli di Rc di Acerbo. Forze che non possono essere ostracizzate. Anche da questo fatto, tutti i leader della sinistra nostrana faranno capire sino a quanto e sino a dove si spingerà la loro radicalità.

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