Intervista a Mauro Alboresi, segretario del nuovo Pci: il centrosinistra è morto, noi siamo alternativi al Pd

250616_ Costituente comunista Arci San Lazzaro per rifondare il P.c.i partito comunista italiano Foto Nucci_Benvenuti - 250616_partito_comunista_arci_sanlazzaro - fotografo: BENVENUTI
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di Vindice Lecis

“Bisogna costruire una sinistra alternativa con realismo e determinazione. E rovesciare anche l’ordine di idee che ci sia un Pd buono in periferia e uno cattivo a Roma. Per cui col primo si può collaborare e il secondo invece si combatte. No, le politiche sbagliate hanno un’unica linea e ispirazione e dobbiamo sconfiggerle, al centro come nei territori. Noi siamo alternativi al Pd”.

Mauro Alboresi dal luglio scorso è il segretario nazionale del nuovo Pci. E parte con questa chiara indicazione l’intervista che ha rilasciato a Fuoripagina. Rifare il Pci, un gigante del Novecento che parla ancora all’oggi, è infatti una scommessa da far tremare i polsi ma non un azzardo, come il congresso costituente, molto partecipato, ha sancito.

Davvero c’era bisogno di un nuovo Pci?

“Abbiamo bisogno di rimettere in campo il Partito comunista. Una ricostruzione che ha bisogno di tempi, di elaborazione e di un pensiero forte. E vivere nelle lotte dell’oggi. Siamo rinati non dal nulla, naturalmente, ma attraverso il coinvolgimento di tante e tanti che vogliono riprendere in mano la storia migliore del Partito comunista italiano. La ricostruzione è all’ordine del giorno perché è necessità storica”.

Quale necessità?

“Perché il venir meno del Pci è stata la causa del precipitare delle condizioni materiali del mondo del lavoro e dell’indebolimento della partecipazione e della democrazia. Naturalmente facendo tesoro di questa esperienza lunga 25 anni, vogliamo fare politica guardando avanti”.

Chi volete rappresentare?

“Il mondo del lavoro nelle sue articolazioni è il nostro blocco di riferimento insieme alle masse popolari impoverite dal liberismo. Siamo in campo consapevoli della crisi della sinistra e dei suoi valori, una crisi che viene da lontano”.

Mi spiega meglio? Si riferisce a che cosa?

“Al fatto che la sinistra progressivamente in questi 25 anni, ha assunto un punto di vista in contrasto con gli interessi che voleva rappresentare assumendone un altro, come se questo che viviamo fosse l’unico mondo possibile con le sue ingiustizie tremende e non fosse possibile cambiarlo. Noi non ci rassegniamo a questa deriva”.

Sinistra di governo subalterna?

“Fondamentalmente sì. Questa sinistra è stata attraversata e permeata dalle logiche del capitalismo trionfante, dalla centralità del mercato, condannata all’accettazione del pensiero unico. Ha messo da parte l’dea di una trasformazione accettando invece le logiche della governabilità, delle grandi coalizioni, dei governi tecnici”.

Realismo vuole che dialoghiate con le varie articolazioni del mondo progressista. Che cosa pensa di Sinistra italiana?

“Guardiamo con interesse alla ricomposizione di una sinistra che vuole rispondere alla crisi con ricette nuove. Ma c’è una differenza con loro: noi non ci acconteniamo di un’alternativa di governo ma ne vogliamo una di sistema. Noi siamo comunisti per questo”.

Rifondazione si è tirata fuori dalla ricostruzione del Pci.

“Insistiamo da tempo sul fatto che sia giunto il momento di superare le divisioni e che ci siano i margini per ricostruire insieme una forza comunista all’altezza dei tempi. Nella discussone interna a Rifondazione si confrontano posizioni e opinioni diverse. In generale noi vogliamo un parito comunista autonomo ma pensiamo anche a un fronte unitario senza rinunciare alla nostra identità. Il che non significa minore tensione unitaria, al contrario”.

Alla sinistra italiana, ai comunisti, serve anche una sorta di traversata nel deserto, ripartire dal basso…

“Vero. Bisogna tenere assieme una dimensione ideologica con una capacità di proposta programmatica per rispondere ai bisogni reali del blocco sociale di riferimento. O la sinistra nel suo complesso torna ad essere credibile nella risoluzione dei problemi o non ha futuro. Oppure si disperde e si annulla nel pensiero unico dominante”.

E’ un problema questo che riguarda anche la Cgil?

“Altro che! Il movimento sindacale vive una lunga fase di crisi. Non riguarda solo la Cgil. C’è stato un allentamento nella battaglia per la difesa delle condizioni di vita e dei diritti. Bisogna voltare pagina e uscire dalla logica ristretta e perdente seguita sino ad ora. La vicenda delle pensioni e della previdenza ci dice che la Cgil non ha capito o è in ritardo”.

Una parte della sinistra accarezza l’idea di ridare vita al centro sinistra. E’ una proposta che vi appassiona?

“Il centro sinistra non esiste. E il nostro obiettivo non è più quello di dare vita a una sinistra interna di quella coalizione. Voglio ribadirlo con chiarezza: noi comunisti siamo alternativi al Pd che è l’espressione dei poteri forti, economici e finanziari. Il Pd garantisce le politiche del liberismo e su quel terreno come è evidente non ci sono spazi”.

Romperete dunque dove siete al governo o in maggioranza negli enti locali col Pd?

“Siamo alternativi con determinazione e realismo. E ripeto che non esiste un Pd buono in periferia col quale oggi mantenere accordi e uno cattivo, renziano, al centro da combattere. Le loro politiche sono simili e sbagliate e le combattiamo. Dobbiamo prendere le distanze”.

In alcune realtà non piccole siete in maggioranza. Ad esempio sostenete il superenziano Pigliaru alla guida della Sardegna.

“Dobbiamo determinare ora le condizioni per uscire dalla maggioranza e prendere le distanze da quell’esperienza di governo”.

Sul referendum che cosa c’è in ballo?

“Siamo tra i promotori di molti comitati per il No e impegnati con tutte le nostre energie per respingere la contro riforma costituzionale che, se passasse, sarebbe un colpo mortale per gli spazi di democrazia e partecipazione. La revisione costituzionale è la parte finale di un percorso rovinoso che toglierà alla democrazia italiana ogni possibilità di cambiare le cose, tutta legata alla governabilità, al rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, all’espropriazione delle rappresentanze, anche con la legge elettorale dell’Italicum”

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