Il coraggio di dire No e la zona grigia dell’opportunismo: i vecchi vizi dell’Italia conformista

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di Vindice Lecis

Dire di No al potere, ai governi che operano scelte nefaste, ribaltando quel senso comune pavido e tremebondo dell’opportunismo dilagante spacciato per buon senso è operazione rischiosa e pericolosa. Che porta all’isolamento, spesso. Per questo motivo voglio ricordare quattro elenchi di nomi di persone che quel No lo hanno pronunciato  pagando un prezzo altissimo, spesso con la propria vita. In contesti diversi, tuttavia legati saldamente da un unico filo rosso: la difesa della democrazia e della dignità.

Furono dodici i professori universitari, su 1200, che rifiutarono fedeltà al fascismo imperante. I loro nomi: Francesco Ruffini, Mario Carrara, Lionello Venturi, Gaetano De Sanctis, Piero Marinetti, Bartolo Nigrisoli, Ernsto Buonaiuti, Giorgio Errera, Vito Volterra, Giorgio Levi Della Vida, Edoardo Ruffini. Il regime impose il giuramento con un decreto legge del 28 agosto 1931. Loro però dissero di No. Persero il lavoro in quell’Italia del fascismo-regime.

Cambiamo epoca. Italia repubblicana e democratica, 7 luglio 1960. Per difendere la Costituzione antifascista e contro il governo Tambroni sostenuto dai missini (che provocatoriamente volevano tenere il congresso a Genova, medaglia d’oro della Resistenza) l’Italia insorse. A Reggio Emilia un corteo sindacale fu aggredito dalla polizia che sparò e uccise senza pietà. Cinque militanti comunisti restarono sul selciato. Ecco i loro nomi: Ovidio Franchi, Afro Tondelli, Marino Serri, Emilio Reverberi e Lauro Farioli. Difendevano la Costituzione.

Erano stati uccisi da polizia e carabinieri anche a Modena, nel 1950 davanti alle Fonderie, altri lavoratori. Si trattava di Angelo Appiani, Arturo Malagoli, Arturo Chiappelli, Roberto Rovatti, Ennio Garagnani, Renzo Bersani. Erano operai metallurgici, spazzini, ex partigiani. E il 2 dicembre 1968 ad Avola in Sicilia le forze dell’ordine spararono contro un corteo di braccianti uccidendo Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona.

Nomi e fatti. Perché ricordarli? Perché il mondo, nonostante il solipsismo narcisistico di Renzi che si descrive come uno spartiacque della storia (lui invece passerà dopo aver seminato danni e lacerazioni profonde, ma passerà presto) prima della sua venuta tramite primarie inquinate esisteva, eccome. Dunque non dobbiamo dimenticare chi ha lottato per noi e per la Costituzione. Perché a differenza di Guido Rossa che non si voltò dall’altra parte nel denunciare i terroristi e i loro amici, anche oggi ipocriti, voltagabbana opportunisti si lavano le mani di fronte al referendum costituzionale. O, peggio, votano per stravolgere la Carta costata tanto sangue e impegno e che ci ha garantito pur senza una sua non piena e completa attuazione. Anzi.

Le tipologie degli yes man sono numerose. C’è chi ti ammonisce di “abbassare i toni”. Chi ricorda che “ci sono estremisti da una parte e dall’altra”. I più snob sperano che il 4 dicembre arrivi presto così sui social si può parlare di Natale, della cellulite o di una squadra di calcio. I capziosi  pur senza avere il coraggio di ammettere il loro Sì al governo dicono che “bisogna svecchiare il sistema politico”. E poi quelli dell’accozzaglia, del ping pong tra le Camere, della casta (detto da Renzi che mai ha lavorato!) e altre sciocchezze. Per fortuna sono diminuiti coloro i quali insistevano petulanti di voler “restare nel merito” sostituiti da falangi di “volete far cadere Renzi” (loro che, invece, vogliono che Renzi resti). Un velo stendo sulla “sinistra del Sì” uscita dai radar.

Questa volta non critico solo i fautori della “deforma” che gestiscono il meraviglioso mondo dei bonus a tutti e il gonfio oceano di soldi per mance elettorali e letterine. Questa volta critico i cari intellettuali da festival letterari stranamente silenti, i supponenti e furbi cerchiobottisti e terzisti, i notabili delle lettere: vi rendete conto che il referendum è la scelta tra due nette, chiare, opzioni? Oppure il problema vero che vi incatena all’opportunismo è quello stesso vizio, tipico di una parte del Paese, che vuole sempre galleggiare in quella zona grigia? Non volete dispiacere al manovratore (siano sindaci, governatori, presidenti della Rai, di fondazioni bancarie o ministri dello Spettacolo). Liberi i difensori del sì a voler stravolgere la Costituzione a colpi di  slogan (se vinciamo batteremo il cancro, la democrazia sarà più veloce – certo, sarà sotto tutela dell’esecutivo – i mercati respireranno e altre sciocchezze) incuranti della storia e del buon senso.

In Italia la zona grigia c’è sempre stata. Durante il fascismo, la Resistenza, le grandi lotte per costruire la Repubblica e difenderla. Tantissimi sono rimasti a guardare per poi mettere le vele al vento. Zona grigia, gonfia di opportunismo e di livore verso quanti si impegnavano per cambiare le cose. Mi chiedo come oggi si possa restare inerti, impassibili di fronte allo sfascio della Costituzione. Oppure è solo il timore di prendere posizione, di metterci la faccia, come si dice. Tra fascismo e anti fascismo però non c’è molto da distinguere, da abbassare i toni. Tra terrorismo e lotta contro il terrorismo, lo stesso. Tra difesa della Costituzione e suo smantellamento non ci possono essere dubbi. Purtroppo sono i vecchi vizi dell’Italia conformista.

Il grande storico Giorgio Candeloro, nelle considerazioni finali della sua monumentale Storia dell’Italia moderna (Volume XI, pagina 339, Milano, 1986) scriveva: “La crisi di alcune impostazioni ideologiche non significa rinuncia agli ideali di libertà, di democrazia e di progresso, purché sia chiaro che il progresso non è una legge della storia ma è un obiettivo che la volontà umana deve proporsi”. Allora il 4 dicembre ricordiamoci, sommessamente, di quegli italiani animati dalla “volontà”  che dissero di No.

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