Vince la Costituzione e perde Renzi. Ma è una valanga contro scelte di governo assurde e sbagliate

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di Vindice Lecis

Il popolo italiano ha scelto di stare con la Costituzione. Di tenersela stretta. Di respingere l’opaca e belluina aggressione che veniva sollecitata dalle banche d’affari, dalle istituzioni internazionali e dalla Confindustria. Questo il primo significato del voto referendario, un pronunciamento così netto da non lasciare spazio a quanti si arrampicano ancora sugli specchi. Non è stato questo pronunciamento degli italiani una rivolta eversiva contro le istituzioni ma, al contrario, una reazione per difendere la nostra Carta, patrimonio di tutti, ultimo argine all’autoritarismo divisivo e minaccioso del premier.

E’ stato un segnale così profondo e ampio da travolgere il governo di Renzi e Alfano col premier costretto alle dimissioni, sfrattato dal popolo. Lo ha fatto con un intervento in cui non riesce a individuare i perché della sconfitta al di la delle frasi di circostanza. Dovrebbe capire che la democrazia è questa perché non appena si è data al popolo italiano la possibilità di esprimere un giudizio sulle classi dirigenti, questa si è trasformata in un’inequivocabile bocciatura.

Per Matteo Renzi è dunque una battuta d’arresto durissima. E lo è per il suo governo che ha provocato in mille giorni tanti danni da sfibrare il Paese. Il mio pensiero va a quella minoranza rancorosa e fanatizzata che lo ha sostenuto in maniera acritica, difendendo le sue scelte scellerate, adulando lui e i suoi cortigiani, modesti e opachi come la Maria Elena Boschi, sostenendo la trasformazione genetica del Pd (che mai è stato di sinistra, come dicono i suoi dirigenti) in un sorta di pericoloso partito della nazione.

Il No è stato un voto popolare, repubblicano e democratico anzitutto. Un pronunciamento inequivocabile. Un giudizio senza appello su quanto di negativo il governo ha messo in campo. E’ evidente che il Paese si è mosso nel momento del pericolo maggiore. Quando ha avvertito il senso di una trasformazione delle già esangui istituzioni elettive in mostri autoritari e contorti. Il NO è stata una reazione alla spoliazione della sovranità.

E’ stato un voto, inutile negarlo, anche sui mille giorni di Renzi. Elettori che avevano già punito pesantemente il Pd nelle amministrative in tutta Italia si sono ripetuti fino a mettere la parola fine su una delle esperienze più devastanti che si ricordino, figlie legittime del berlusconismo. Tutto era cominciato con le primarie inquinate di quel partito vinte dall’ex sindaco di Firenze. Che con la complicità attiva di Napolitano (che lo ha scelto al posto di Letta) ha messo in atto scelte di governo ideate altrove. Dapprima con l’opaco patto del Nazareno con Berlusconi, una prova devastante di regime, seguite dalle misure concrete scritte sotto dettatura da Bce, Troika e finanza internazionale.

Il NO per difendere la Carta ma non solo. Il jobs act ha pesato. Come la riforma peggiore della storia repubblicana, una creatura feroce che ha tolto diritti (l’Articolo 18 garantiva il reintegro in caso di licenziamento illegittimo). Eppure Renzi e i suoi hanno portato a termine l’operazione avviata da Berlusconi e proseguita da Fornero. Il jobs act ha dimezzato gli strumenti degli ammortizzatori sociali e inventato il meccanismo folle delle tutele crescenti oltre che garantito sgravi alle aziende per regolarizzazioni seguite da ondate di licenziamenti.

Ha pesato anche la dissennata politica dei bonus e delle mance, utili semmai per lucrare qualche voto nell’immediato ma lontana da misure di equità e redistribuzione del reddito (gli 80 euro per le Europee e i coriandoli sparsi di bonus a categorie come i diciottenni, i nascituri etc). Mentre il Paese protestava e voleva essere ascoltato sulle scelte, ha inventato invece l’Italicum una legge elettorale antidemocratica imponendola con voti di fiducia parlamentari. L’aveva varata con l’illusione dei plebisciti come legge truffa tale da annichilire la rappresentanza. E quel pericolo c’è ancora.

Il capolavoro è stata la buona scuola, una riforma da incubo che l’ha trasformata in una simil azienda, perpetuando burocrazia, precariato, pulsioni autoritarie e parificando ancora di più l’istruzione pubblica con quella privata. E nella cesta della spirale demagogica e delle bugie ecco i finti tagli alle tasse, l’irrisione dei cosiddetti corpi intermedi (sindacati in gran parte però silenti su molte questioni), i tentativi di attacco alla magistratura. E ancora nel suo armamentario il rilancio del Ponte sullo stretto, le facili promesse di defiscalizzazioni e patti improbabili territoriali, l’ambiguità sulla sanità, i tagli alla ricerca. La pessima riforma della pubblica amministrazione. Le zone d’ombra sul credito. Voleva fare da solo e ha fatto male quasi tutto.

Davvero pensava che la sua finta battaglia contro l’Europa fosse convincente? Portata cioè avanti da uno che predispone una revisione costituzionale senza toccare il pareggio di bilancio scritto nella Carta dal feroce liberismo filo austerità? Ha battuto i pugni per la flessibilità per poter lucrare qualcosa ad uso elettorale ma non ha mai messo in discussione le scelte vere, profonde di un’Europa distante dai popoli. Non poteva perché lo abbiamo messo noi, come disse Marchionne.

Dal punto di vista politico è una sconfitta netta del partito della nazione, quella fangosa tendenza a costruire formazioni di regime, blindate, camera di compensazione dei contrasti a discapito delle assemblee elettive e impermeabile alle richieste del Paese. La batosta del Pd è questa, certamente. Ma è anche la conferma che una forza politica che proveniva dalla storia della sinistra e del centro sinistra ha strappato quelle già esigue radici. Invece il Pd, dai tempi di Veltroni in realtà, è stato percepito per quello che era ed è realmente: il partito della grande finanza, della casta intoccabile e proterva, del luogo di incontro di voltagabbana e personaggi improbabili in cerca di immunità. Nulla a che fare dunque con rappresentanze popolari e democratiche, quella nomenclatura delle classi di cui parlava Gramsci.

Ora che Renzi ha preso la borsettina e sta per tornare a casa sua (dichiarazioni rilasciate a gennaio) dall’avatar Nardella si apre certamente una fase nuova e non priva di incertezze. Ma se vivi nell’azzardo e ti trasformi in apprendista stregone qualche pegno lo devi pagare. E’ evidente che in una prospettiva non lontana, dalla crisi del Pd e del renzismo non si esce riproponendo quel partito al centro delle alleanze. Renzi ha distrutto il centro-sinistra alleandosi con Alfano e Verdini ed è quello che non capiscono personaggi nutriti di opportunismo come Zedda, Pisapia e rappresentanti irriconoscibili del giornalismo un tempo liberal.

Ora mi aspetto che il voto venga rispettato. Che qualcuno non riproponga le oligarchie o gli ottimati come gli unici deputati a governare il Paese. Ricchi e potenti o figli di quel capitalismo di relazione che in Italia va per la maggiore. O che si riapra la squallida riproposizione della limitazione del voto popolare non deputato a decidere sul proprio destino. Il No ha spazzato via queste illusorie e pericolose tendenze.

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