Le fake news della narrazione renziana e i numeri certificati del suo fallimento

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di Vindice Lecis

E poi, alla fine, che cosa ci resta? Meno posti di lavoro, più precarietà e meno diritti. Quante balle ci hanno somministrato per far approvare provvedimenti iniqui (la cancellazione dell’Articolo 18 e la riforma delle pensioni o il voler convincerci del privilegio di avere un lavoro). Ci scorrono veloci davanti agli occhi anni di fake news spacciate come verità oggettive e che hanno intossicato le agenzie di stampa, i giornali, i siti sulla rete, i talk show. Necessarie per estorcere consenso rassegnato a decisioni sbagliate e a fomentare l’isteria da caccia alle streghe verso chi si opponeva.

Stupefatti, guardiamo al crepuscolo del renzismo e del suo logoro armamentario fatto di parole imbrogliate: il paese che riparte, l’identificazione propria in Telemaco, il figlio giusto, la sfida ribellistica legata al suo narcisismo che ha disegnato una sorta di epica decomposta, l’irrisione delle forme organizzate della politica e del lavoro. La finta rottamazione. Nascondevano invece corruzione, carrierismo, sottogoverno, gigli magici. E più sofferenza, povertà, disperazione.

La vera sconfitta del renzismo possiamo però comprenderla solo se abbandoniamo una sua lettura psichiatrica o utilizzando le inadeguate categorie liberali. “Lo abbiamo messo noi li” ebbe a dire su Renzi l’ad Fca, Sergio Marchionne, in una mai smentita dichiarazione. Da qui allora partiamo: Renzi e il suo partito hanno governato e governano per svolgere un certo lavoro. Il risultato è che dalla crisi le classi popolari, il vecchio ceto medio e le classi meno abbienti ne usciranno più povere, con meno tutele, sfibrate dall’offensiva neo liberista e private di tutto.

Sull’economia è stato evidente il fallimento del renzismo. Qualche dato rapido lo dimostra.

Il debito pubblico. Il governo Renzi è il peggiore dei tre precedenti. Secondo l’agenzia Bloomberg che ha rielaborato dati Istat e Bankitalia, su ogni cittadino gravano 2.617 euro di debito in più. Nel febbraio 2014 – insediamento del governo del Giglio Magico – la massa di debito pubblico ammontava a 2110 miliardi. Oggi ha raggiunto il livello di 2230 miliardi.

Boom dei voucher. I buoni da 7,50 euro netti, sono diventati la norma e utilizzati anche da grandi aziende e, persino, pubbliche amministrazioni. Aggirano i contratti, schiavizzano i lavoratori. Istituiti dalla legge Biagi nel 2003 hanno perso l’originaria funzione per diventare uno strumento infernale. Nel 2016 ne sono stati venduti qualcosa come 122 milioni. I voucheristi rischiano una pensione da 208 euro!

Flop del jobs act. Il risultato, certificato, è che ci sono meno lavori a tempo indeterminato rispetto al 2014 (pre jobs act) con minori protezioni sociali. In crescita solo assunzioni a termine. Secondo alcune ricerche (l’economista Pasquale Tridico sul Fatto) “la variazione netta di assunzioni a tempo indeterminato al netto delle cessazioni e considerando anche le trasformazioni a tempo indeterminato di contratti già esistenti… dopo un incremento nel 2015 di più di 660 mila unità nel 2016 è sceso drasticamente a sole 65.989 unità”.

Bonus di 80 euro da restituire. La beffa atroce del bonus elettorale. Oltre 1 milione 713 mila cittadini lo hanno dovuto restituire, molti dei quali (mezzo milione almeno) perché sono sprofondati sotto la soglia di povertà e dunque non avevano diritto a godere del provvedimento.

Prodotto interno lordo in calo. Il Pil nel 2016 ammontava a 1.687 miliardi di euro. Nel 2015 è crollato di 133 miliardi attestandosi su 1553. Mancano 400 miliardi di entrate fiscali. Ma come si può crescere se il reddito dichiarato degli imprenditori è stato di 19.990 euro nel 2015, quello dei lavoratori dipendenti di 20.660 e dei pensionati di 16.870?

Giovani senza lavoro. La disoccupazione giovanile è al 40,1%, + 0,2% sul novembre 2015, livello più elevato dal giugno 2015. Il tasso di disoccupazione è al 12%, + 0,4% sul 2015. I disoccupati erano 3.103.000 al dicembre 2016.

Discutiamo di questi fallimenti.

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