Dietro la crisi, chi comanda a Sassari

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di Vindice Lecis

Quante divisioni ha Nicola Sanna? Alla base della sconfitta politica che si sta prefigurando per il sindaco di Sassari e il suo partito c’è, anzitutto, il suo crescente isolamento. Sorprendente per un uomo che aveva vinto le primarie e trionfato nelle elezioni comunali alla guida del centro-sinistra. Ma di quel voto popolare travolgente è stato fatto subito un uso spregiudicato. La primavera annunciata per Sassari si è trasformata in gelido inverno nonostante il chiaro pronunciamento a voltare pagina per strappare la città al, fin troppo noto, gruppo di potere che nel Pd tira le fila delle cose cittadine e anche regionali.

Quella voglia di voltare pagina è stata subito esposta, invece, sui banchi del mercato politico. E, come un quarto di vitello, messa in vendita. Ai saldi. Ha pesato, certo, il fatto che Nicola Sanna si sia trovato ad essere un’anatra zoppa, con un consiglio comunale che rispecchiava altri equilibri. A lui ostili. Inoltre sul carro di Tespi che lo aveva portato alla vittoria avevano trovato accoglienza gli esclusi dell’altra parte – uso una folgorante definizione di Gramsci – “con l’entusiasmo che crea ogni nuova possibilità di pescar croci, commende e medaglini”. Molti di questi, rosi dalla sindrome rancorosa del beneficiato, si sono dimostrati alleati infidi (e turborenziani più di Lotti).

E Nicola Sanna, per sopravvivere ha dovuto ingoiare, da subito, molti rospi. Il primo, difficile da digerire, è stato la brutta vicenda degli assessori a tempo. Sacrificati per placare le esigenze della berciante pletora di correnti del Pd (dove convivono moltissimi Dc, qualche ex Pci-Pds-Ds sotto una teca, la feroce falange dei socialisti di Cabras e Spissu, più i devoti seguaci della setta di Soru). Forse avrebbe dovuto il sindaco all’indomani dell’elezione, chiamare a raccolta gli elettori di centro sinistra (allora esistente) e denunciare i suoi sabotatori. Non lo ha fatto.

La chiassosa ribalta del Pd sassarese era già stata inoltre animata dal più grande episodio di trasformismo politico degli ultimi decenni. La transumanza di tutti i bersaniani, o presunti tali, negli ovili di pianura del capo supremo. Con Renzi si vince, sbandieravano con la boria e la baldanza figlie di analisi dal corto respiro. Si è visto come è andata.

Nel frattempo, mentre la morsa attorno al primo cittadino proseguiva senza un momento di respiro, Sanna andava avanti. C’è molto di preoccupante in questo atteggiamento. Perché somiglia a quel suicida e arrogante avanti con le riforme che Renzi e Boschi continuano a ripetere davanti alle macerie della loro azione politica dissennata. Sanna andava avanti, esagerando però con l’adesione ai comandamenti renziani (quel Basta un SIndaco al referendum, grida ancora vendetta), evidenziando massicce dosi di coraggio miste a una navigazione a vista e baldanzosa incoscienza.

E’ la “struttura” a determinare l’essere sociale. Che significa? Che un uomo della provvidenza non serve. Perciò è difficile capire la crisi impressionante della città e delle sue classi dirigenti se non si accende un faro proprio sul Pd. A Sassari questo partito è infatti come un sovrano assoluto. Una federazione di potentati, un grumo di interessi. Dove una corrente mantiene l’egemonia e il controllo.

Sassari ha chiaramente un nemico ed è proprio il Pd, che si illude di essere camera di compensazione e di arbitrato di interessi contrapposti. Pensano di decidere tutto a Tramatza o in via Mazzini. La città sta pagando in termini di declino questa debolezza e l’aver sacrificato i suoi interessi sugli altari del partito democratico: sulla sanità, sull’università, sull’aeroporto, sui trasporti, sull’industria. Il paradosso è che mai la città ha subito così tanti danni da quando alla presidenza della giunta e del consiglio regionale siedono due esponenti Pd, sassaresi.

Nicola Sanna ha pensato di combattere i suoi nemici giurati sul terreno della resistenza a oltranza, illudendosi di schiantare quelle munite fortezze. Ponendosi come obiettivo rivoluzionario quello minimale doroteo del durare. Ma non ha saputo portare dalla sua gli elettori. Invece ha vinto la concezione opaca che caratterizza il Pd: mai le cose sono state spiegate, illustrate ai cittadini. Perché le dimissioni a catena dalla giunta? Perché il perenne braccio di ferro tra il sindaco e il suo partito? Cosa si nasconde dietro questa infinita disamistade? Un’agonia penosa, un fallimento politico e programmatico che non è solo del sindaco, ma del partito pigliatutto.

In questa storia non c’è un buono, magari ingenuo, contrasto da una banda di cattivi. C’è un feroce scontro di interessi. E a vincere, ancora una volta, saranno quelli di prima che in realtà non se ne sono mai andati. Eterni e perennemente affamati.

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