Che pena i liberal Usa e italiani, ciechi sulla guerra e i diritti del lavoro

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  1. di Vindice Lecis

Sono rimasto colpito – ma non sorpreso – dalle manifestazioni di ostilità che hanno accompagnato e seguito negli Usa l’elezione di Donald Trump alla presidenza. Un coro di protesta per l’omessa dichiarazione dei redditi, per il propagandistico bando ai viaggiatori di alcuni paesi a rischio terrorismo, per l’annuncio di un muro di confine già ben avviato dai predecessori democratici e per i suoi atteggiamenti rozzi nei confronti delle donne. Manifestazioni di ostilità guidate dall’élite liberal degli Usa, ispirate dalla stampa anch’essa liberal e, infine, capitanata dalla parata stellare democrat e, manco a dirlo, liberal di Hollywood

Tuttavia, quello stesso mondo, di fronte all’aggressione di Trump alla Siria, alle minacce alla Corea del Nord e alla super bomba ostentata e praticata come soluzione finale è rimasto silente. Rettifico, non silente ma entusiasticamente complice. Dunque non più Trump rozzo, cattivo ma infine buono e custode dei sacri valori americani di gendarmeria globale. Nulla o poco ha detto il New York Times, ad esempio, sulle decisioni energetiche della presidenza. E non risulta che abbia chiamato alla rivolta le masse per la difesa della riforma sanitaria obamiana. Al contrario proprio l’élite guerrafondaia dei liberal orfana di Hillary, ha appoggiato le scelte così arrischiate del presidente. Proponendo – lo ha fatto ancora il New York Times custode dell’allegra e spregiudicata ortodossia liberal – di detronizzare Assad a costo di aiutare l’Isis.

Già, i liberali. Tutti dicono di esserlo. Anche Berlusconi propagandava il suo liberalismo, insieme a Martino e Urbani paragonati a Gobetti e Bobbio. Per i liberali italiani – i Galli Della Loggia, i Panebianco, i Tremonti della finanza creativa, gli Scalfari della riscoperta delle oligarchie, e quasi tutto il Pd con buona parte della sinistra non comunista – liberalismo s’intende una dottrina fondata sulla tecnica dei limiti del potere statale. Nulla di meno, in contrasto con il concetto democratico di uguaglianza e giustizia sociale. Il centro di costoro è la libertà individuale. Ecco perché i liberal si mobilitano solo sui diritti della persona e non su quelli collettivi o sulla emancipazione dei lavoratori di cui nulla importa.

Non è un caso che questa assortita pattuglia – ricca, feroce, potente – sia figlia di una contingenza storica che ha dato origine a nuove libertà ma ne ha soppresso anche altre: lavoro da diritto a concessione, sanità da diritto a merce da pagare salata, scuola non più universale e pubblica. L’articolo 18 veniva cancellato mentre andava in onda un dibattito su altri diritti civili. Il liberalismo e il liberismo si rivelano dunque come un regime di privilegio per le classi dominanti capace anche di concessioni magnanime che però non devono rimettere in discussione il potere delle classi nella redistribuzione del potere. Libertà civili spesso puramente formali: non è libero colui che ha un diritto astratto senza il potere di esercitarlo ma è libero colui che oltre al diritto ha anche il potere di esercitarlo.

Ecco perché non mi sorprende il silenzio dei liberal americani e di quelli europei sui pericoli di guerra. Non è di moda. Ed ecco perché in Italia passano per riforme liberali tutto ciò che sconquassa le conquiste democratiche di decenni di battaglie sociali (lavoro, istruzione, sanità) fino alla Costituzione.

Ecco perché non possiamo dirci liberali. Specialmente come questi liberali alle vongole o i filantropi interessati di ogni specie.

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