di Vindice Lecis
Hanno guardato la partita col Genoa in televisione, quasi infischiandosene di quello striminzito 3-2 che ha consentito alla Roma di partecipare ai gironi di Champions. Ma la loro testa era altrove. La piccola folla assiepata al bar dei Cesaroni nel quartiere della Garbatella non aveva occhi che per lui. Per Francesco Totti, il Capitano. E gli occhi di tutti si sono bagnati di lacrime, di mani sul volto per non vedere, affollandosi di ricordi. Ciascuno con un pensiero rigato di pianto. Mentre il bandierone giallorosso, al lieve vento di ponente, mostrava i suoi colori, lentamente, inviando un saluto avvolgente.
Di fronte a un calcio trasformatosi in peggio, a un campionato dove i due terzi dei giocatori di serie A sono stranieri, sfiorato da imbrogli e corruzioni, inzeppato di presidenti cinesi o americani che durano spesso una stagione avventurosa, non deve quindi sorprendere se Roma e mezza Italia hanno dedicato parte del loro tempo, e scordato alcuni affanni, a una bandiera. Totti lo è stata per venticinque lunghi anni. Bisogna rispettare e capire quel vuoto che si avverte tra i tifosi, non solo perché il Capitano è stato un grande campione, tra i più grandi della storia del football. Ma perché nel calcio finanziario e piegato agli interessi delle televisioni – che lo hanno spalmato per tutta la settimana e a orari allucinanti – è venuto a mancare quel tratto di umanità e di identità che rafforza il senso di appartenenza a una collettività.
Vincenzo “Gaetano” Mantini è il popolarissimo presidente del Roma club della Garbatella. I suoi giudizi sono ponderati e mai banali. Tagliente e severo, nato e vissuto nel quartiere più bello di Roma dove tutti si conoscono. Un quartiere rosso – politicamente, ancora – e giallo rosso calcisticamente parlando. Nel suo Bar dei Cesaroni, in piazza Giovanni da Triora, dove ha sede un club della Roma con 1400 iscritti (persino ungheresi e svedesi) si esercita il rito laico del tifo ragionato. Testa e cuore, a Roma si fondono. In quel bar il politicamente corretto è bandito, per fortuna. Gaetano non è un supertifoso ma conosce come pochi le dinamiche interne a una società come quella della Roma, ora in mano agli americani, consapevole che Totti – al quale, come molti, non ha risparmiato sovente affettuose sollecitazioni – lascia un vuoto enorme.
“Lo conosco Totti – racconta a Fuoripagina – Ieri, giorno dell’addio, sono stato intervistato da tre televisioni straniere che volevano sapere e capire. Che cosa ho detto? Che Totti è stato un uomo prima che un giocatore di calcio e deve essere ricordato come un esempio. Sai perché? Perché alla fine è rimasto il ragazzo che non ha dimenticato le sue origini semplici, quello che, per intenderci, aiuta i bambini poveri”. Gaetano non si piega alla retorica e non vuole edificare un santino, ma insiste su un punto: che in un calcio di mercenari Totti è stato qualcosa di diverso. Stessa maglia, stessi colori, stessa squadra. Totti protagonista sempre, passando indenne tra le malmostose annotazioni critiche che inebriano i tifosi giallorosi (un unicum in Italia!) perennemente in bilico tra entusiasmo e depressione. Fino al ciclico disincanto. Tanto c’era lui, Totti, a illuminare un pomeriggio sbiadito.
“Difficile trovare un giocatore che resta con la stessa maglia tutta la vita – aggiunge Gaetano – e che viene ricordato con striscioni in tutti gli stati e non solo italiani, anche quelli più ostili”. Ecco: la maglia, la bandiera, i colori, la città.
Gaetano e i suoi amici-clienti hanno guardato la partita come sempre al bar dei Cesaroni, tempio laico della Roma, tra foto di Totti, Conti e di Bartolomei, maglie di Giannini, busti di centurioni. C’erano tutti, con le sciarpe giallorosse, lo stesso posto prenotato. E un groppo in gola. Tutti osservati in silenzio dal saggio pappagallo Nerone – che in questi anni ne ha dovuto sentire tante di cose ripetendone per fortuna poche – hanno cenato sino a mezzanotte. Tra ricordi, battute, qualche senso di vuoto. Come si conviene ai grandi snodi della storia (calcisticamente parlando).
“Questo calcio – ammette sconsolato Gaetano – cambia in peggio. E’ pieno di cinesi e americani che ci stanno togliendo la passione”. Gli chiedo un ricordo personale del Capitano e si zittisce per qualche istante, attingendo a tanti episodi. “Sono diversi i ricordi, ma uno è molto bello: una cena organizzata da noi. Eravamo in quattrocento, e lui è stato tutto il tempo insieme a noi e poi prestandosi a mille foto e abbracci. Nessuno lo fa”.
E ora che l’ impietosa legge della natura ha messo a riposo un altro grande calciatore italiano, che sarà della Roma? “Questa società, per tanti motivi non la riconosco più. Servono dirigenti legati alla città, ai tifosi, al popolo giallorosso. Quella stagione non la vedo all”orizzonte”. Ma per Totti, la Garbatella, sarà sempre un porto sicuro. Quella è casa sua.
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