Fassina a Fuoripagina: la sinistra può rinascere dal basso a patto che sia alternativa al Pd (e bisogna imparare da Corbyn e Mélenchon)

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di Vindice Lecis

In Italia non si intravvedono ancora un Corbyn o un Mélenchon (anche perché l’autoproclamato federatore Pisapia, pendolare tra renzismo e sinistra non assomiglia a nessuno dei due). Tuttavia l’appello di Tomaso Montanari e Anna Falcone per “un’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza” è un primo passo. “Ha il merito di guardare avanti – afferma Stefano Fassina, parlamentare e dirigente nazionale di Sinistra Italiana – e propone un terreno di gioco senza barriere”.

L’assemblea del 18 può sancire la nascita di una sinistra senza altri aggettivi?

“In quell’appello ci sono alcuni aspetti importanti. Il primo l’ho appena detto, la proposta appunto di un campo di lavoro senza barriere d’accesso”.

Ci spieghi meglio.

“Individua nel risultato referendario, nella vittoria del No, una giusta discriminante ma allarga il campo. Vale a dire che propone una cosiddetta griglia programmatica che ho definito a maglie larghe. Il secondo punto individua inoltre un metodo partecipativo liberando la discussione da vincoli di leadership predefinite. E non esclude nessuno, a partire dai cosiddetti vicini di casa”.

Ritenete che a questa assemblea debba esserci tutta l’articolazione della sinistra?

“Su queste basi certamente. Sarebbe un segnale di credibilità se vi partecipassero anche gli esponenti di Mdp e Campo progressista”.

Fiducioso che i contrasti si siano già appianati?

“Le differenze tra noi e dentro di noi esistono, ad esempio sul nesso tra Italia, eurozona e Ue o sulle politiche per il lavoro”.

Possibile andare oltre il 5%?

“Non è quello il problema e tantomeno la preoccupazione di collocare un pezzo di ceto politico. Quanto ridare presenza politica a chi è stato devastato dalla crisi e abbandonato”.

Capisco l’apertura massima, ma senza chiare discriminanti si rischia la melassa.

“Elemento di chiarezza è il rapporto col Pd: intese e alleanze con quel partito sono impraticabili”.

Nell’appello si parla di esperienze dal basso.

“Le liste unitarie e di alternativa delle città nella pluralità di culture politiche che rapprsentano sono un esempio concreto della virtuale “Lista Unica” a sinistra in campo nazionale”.

Si aspettava un risultato così importante come quello di Corbyn?

“Mi ha sorpreso la dimensione del risultato. A differenza degli altri partiti socialisti lui ha messo in campo da due anni un paradigma decisamente alternativo al blairismo. Un programma neo keynesiano, di politiche di spesa pubblica da finanziare con una rimodulazione della tassazione basata su una maggiore contribuzione dei più ricchi, una revisione del mercato del lavoro, un piano da centomila nuovi alloggi, la ricostruzione della sanità pubblica, il riportare sotto il controllo pubblico energia e acqua. Insomma, la ricostruzione del welfare. Così ha ottenuto il voto dei giovani che non hanno disertato le urne”.

In Europa la sinistra rinasce fuori e contro i vecchi partiti socialisti oppure con politiche radicalmente diverse da quelle del Pse.

“C’è Mélenchon in Francia, Podemos in Spagna, il Bloqueo de Izquerda in Portogallo. Esperienze di sinistra di popolo . Il Pse si è uniformato al programma neo liberista e non sembra distaccarsene”.

Ricorda quella parata del patto del tortellino dei leader in camicia bianca?

“Sconfitti e usciti di scena”.

In Italia il renzismo vive un declino irreversibile?

“Questa fase del renzismo è comunque figlia del Pd del Lingotto. Tuttavia la mancanza di una destra pro establishment ha consentito al Pd di occupare quello spazio elettorale, appunto di destra. Per cui per ora non mi aspetto un crollo immediato come è accaduto per i partiti socialisti europei”.

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