Persiani, Vandali e Goti contro Romei: un conflitto mondiale di civiltà raccontato da Procopio di Cesarea

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di Vindice Lecis

Procopio di Cesarea (c.495- c. 565) è considerato l’ultimo dei grandi storici classici – espressamente ispirandosi al greco Tucidide, vissuto mille anni prima che aveva messo al centro dei suoi interessi le vicende umane – e il primo dei grandi storici bizantini. Consigliere del generale Belisario (c.490-565), raccontò le guerre che l’imperatore Giustiniano (482-565) condusse – come chiaramente spiega in apertura della sua opera più famosa – “contro i barbari sia d’Oriente che d’Occidente, riferendo con esattezza come si sono svolti i fatti in ciascuna di esse”.

L’opera Sulle guerre organizzata in otto libri, racconta infatti “la storia di un conflitto mondiale di civiltà” (cit. Filippo Maria Pontani) che contrappose i Romani ai Barbari d’Oriente e d’Occidente, nella prima metà del VI secolo. Gli storici bizantini posteriori chiamarono l’opera Gesta di Belisario, ma in realtà il grande generale a molti degli avvenimenti raccontati da Procopio non partecipò.

Il piano dell’opera è grandioso. Nel Libro I si raccontano i rapporti con la Persia prima del 527 e la guerra persiana contro Cabade (527-532). Il Libro II racchiude gli eventi della guerra persiana contro Cosroe tra il 532 e il 549). Il Libro III è dedicato ai rapporti con i Vandali e all’inizio della spedizione in Africa (533). Il Libro IV è incentrato invece la guerra vandalica contro Gelimero (533-546). I tre libri successivi sono dedicati alla grande guerra greco gotica: il V alla prima fase (535-537), il VI al conflitto contro Vitige (538-539) e il VII a quello contro Totila (540-549). Il libro VIII è dedicato all’invasione persiana in Lazica (550-552) e alla guerra gotica contro Totila e Teia (550-553).

Cosa deve essere uno storico, lo spiega lo stesso Procopio in avvio del Libro I: “… mentre all’oratore occorre l’ornamento delle belle parole e al poeta l’invenzione delle immagini, lo storico invece non può allontanarsi dalla nuda verità”. L’autore è convinto – nonostante sia una delle parti in conflitto – di meritarsi pienamente questo titolo “perché non ha mai taciuto gli errori commessi anche da qualcuno dei suoi più intimi amici ma ha riferito tutti i fatti precisamente come ognuno li ha compiuti, o bene o male”.

Negli otto libri, altre alle guerre con tregue e armistizi e la descrizione della grandezza dei generali o della loro fellonìa, troviamo anche le numerose contese diplomatiche, rivolte popolari (Nika e Ulpiana), congiure di palazzo (come quella di Teodora), i terremoti, la spaventosa epidemia di peste del 542 e, persino, l’avvistamento di una cometa.

La lettura delle Guerre è straordinariamente interessante e avvincente. La minuziosa descrizione delle vicende militari – assedi, battaglie campali, agguati, azioni di coraggio e ignominiose paure – accompagnano lo scorrere di lontane storie con spirito neutrale. Nel volume Le guerre edito nel 2017 dalle edizioni Res Gestae di Milano, Filippo M. Pontani nella sua introduzione spiega che è ovvio che, nel conflitto tra Romani e Barbari, lo storico racconti gli eventi dal punto di vista dei primi. “D’altro canto – aggiunge – la sua non è una storia encomiastica” ispirandosi invece alla “così detta obbiettività della narrazione”. Certo “ la superiorità d’intelligenza e d’esperienza militare e politica dei Romani, la genialità d’alcuni comandanti e il valore dei soldati sul campo trovano riconoscimenti convinti e talora esaltazioni appasionate”. Ma non ne vengono sottaciuti insuccessi, errori, tradimenti.

La lunga guerra persiana, quella vandalica e, infine, il devastante (per l’Italia) conflitto greco-gotico fu per molti versi uno “scontro di civiltà”, innervato nell’ambizioso tentativo giustinianeo di restaurare una grandezza imperiale. Tuttavia, se le vicende raccontate nell’opera ci fanno conoscere ogni cosa dei Bizantini (i “Romei”), di notevole interesse sono le descrizioni che Procopio ci lascia sui “Barbari” organizzati in popoli, tribù, clan.

La storia politica, dinastica e diplomatica si mescola così alla descrizione “etnografica” di quei popoli che minacciano, invadono o diventano alleati dell’Impero di Costantinopoli. Procopio spesso descrive – lo ricorda bene Pontani – i Mauritani infidi, gli Isauri traditori (pur facendo parte dell’esercito romano), e i bestiali Eruli. O gli efferati torturatori Persiani, i violentissimi Vandali di Gelimero, i perversi Slavoni, gli Abasgi inauditi eviratori e i Franchi adusi ai sacrifici umani.

I Romei combattono per difendere un impero dalle incursioni di genti sovente già ampiamente “romanizzate” e premuti da altre minacciose migrazioni. Ma sono ricambiati dai barbari con “mordace disprezzo”. Tuttavia molti di questi popoli, ad esempio i Goti, si considerano in Italia i legittimi eredi dell’impero e non altro. E danno ad intendere della loro volontà di costruire un regno d’Italia e non una semplice e lontana provincia di un impero così cosmopolita. Molti sono cattolici e, sovente, trattano le popolazioni italiche con una maggiore attenzione (ad esempio sull’organizzazione fondiaria) dei Romei

Di enorme interesse è anche la descrizioni dei territori, delle città e delle loro fortificazioni. E anche la scienza militare è ampiamente raccontata anche nei dettagli: dalla costruzione delle torri d’assedio all’uso delle “balestre”, dall’organizzazione degli eserciti in battaglia al ruolo dei fanti e dei cavalieri comprese le astuzie dei comandanti sino all’uso del fuoco greco nelle flotte.

Questo libro, dopo quindici secoli, è di sconvolgente interesse per la narrazione severa dei fatti, non priva di quelle capacità descrittive profonde dell’animo umano e delle sue debolezze. Per capire bene come si formò il crogiuolo europeo.

Procopio di Cesarea, Le Guerre, Res Gestae (2017, pag. 847, 28 euro)

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