Ancora larghe intese? Ecco perchè la socialdemocrazia europea è un “cane morto”

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di Vindice Lecis

La socialdemocrazia europea non è una tigre di carta. La socialdemocrazia europea è piuttosto un cane morto che non trae insegnamento alcuno dagli errori compiuti nell’ultimo decennio. Non è un caso che i partiti socialdemocratici e socialisti siano stati abbandonati in massa dai loro elettori e il motivo sembra sfuggire alla comprensione dei loro capi, esangui figure in camicia bianca, in un panorama continentale ormai trasformato.

Il via libera dato dell’Spd guidato da Martin Schultz a un ennesimo governo di unità con i democristiani di Angela Merkel, è la conferma che la socialdemocrazia tedesca non ha imparato nulla dalle politiche di austerità, dal rigore a senso unico, dalla crisi che ha reindirizzato i rapporti sociali a vantaggio dei ceti dominanti. L’Spd con la conferma di quell’alleanza conferma, infatti, che il partito di punta della socialdemocrazia europea non vuole cambiare lo stato di cose presenti, né abbandonare le politiche fallimentari che hanno devastato il welfare europeo.

La socialdemocrazia è in coma. Non ci sono idee, né proposte di cambiamento. Schiacciata dall’insorgenza dei movimenti euroscettici di varia natura, della crescita della destra liberale e anche estrema e dall’avanzata di movimenti e forze di ispirazione comunista e socialista e comunque radicale, il Pse siede su cumuli di macerie. Si tratta di partiti che somigliano del tutto ai loro presunti avversari di destra, ne copiano le politiche e che, per questo motivo, hanno ottenuto negli ultimi anni i risultati elettorali peggiori della loro esistenza secolare.

Cominciamo dall’Spd che nelle elezioni del 2017 ha segnato il peggior risultato della storia: il 20,5%. Il leader Schultz è il garante degli accordi con la destra liberista: la sua elezioni alla guida del parlamento europeo (2012-2014) fu il frutto di un accordo col Ppe basato sulla nomina del popolare Junker alla presidenza della Commissione europea. Battuto da una affannata e declinante Merkel alle politiche, ora Schultz insiste per governarci insieme. Suicida.

Andiamo avanti. La socialdemocrazia francese è letteralmente distrutta. Il Ps alle ultime elezioni presidenziali e legislative non ha raggiunto il 7%, cannibalizzato da partiti nuovi di zecca come quello personalistico e iper liberista di Macron (una sorta di partito della Nazione Renzi -Alfano-Verdini). In Spagna sia Podemos che Izquerda Unida hanno notevolmente intaccato l’elettorato del Psoe, ancorato a un 22% di suffragi quando, soltanto nel 2008, deteneva il 43,1% ed era il primo partito di Spagna. In Norvegia Ap, partito del lavoro, viaggia sul 27% ma ha dimezzato i voti in un quindicennio e così pure la Spo austriaca, ferma all’11% dopo aver per decenni governato insieme ai democristiani. In Olanda i socialdemocratici non raggiungono il 6%. In Grecia da qualche anno il Pasok – figlio della corruzione – è scomparso dalla scena apolitica, fermo sul 6,3% , schiantato dall’aggregazione di Syriza di Tsipras.

Dal disastro del “socialismo europeo” si staccano due partiti assai diversi tra loro ma accomunati da una linea strategica comune: l’apertura a tematiche di sinistra. Si tratta del Labour di Corbyn e dei socialisti portoghesi. Questi ultimi col 32% governano col sostegno parlamentare dei comunisti con una linea alternativa a quella scelta da Ue e Bce. A loro volta i laburisti britannici con una decisa virata a sinistra si sono lasciati alle spalle il blairismo e le sue odiose pratiche, culla e incubazione del trasformismo socialdemocratico e causa del suo rapidissimo declino. Ora il Labour, pur all’opposizione ha già recuperato 3 milioni e mezzo di voti persi.

In Italia la deriva centrista o conservatrice del Pd è nota. Pur facendo parte dell’Internazionale socialista e del Pse, questo partito è fuori dalla traiettoria tradizionale delle socialdemocrazie guardando invece al modello iperliberista di Macron. Il Pd al pari degli altri partiti si è piegato e ha scelto – su indicazione dei mercati finanziari e degli organismi internazionali – la politica delle larghe intese con i poteri forti e le formazioni di destra (Monti ha avuto il sostegno di Bersani e Berlusconi). Il governo Renzi è stato certamente quello che con maggior energia ed efficacia ha devastato le politiche del lavoro, creato una precarietà generalizzata, smantellato la scuola pubblica, quasi del tutto eliminato l’intervento pubblico in economia, appoggiato l’impresa per ridurre i diritti dei lavoratori.

Eppure le larghe intese scambiate per senso di responsablità – lo stesso che ha fatto ingoiare le medicine più amare che hanno ucciso il paziente – continuano a piacere anche alla sinistra, quella più moderata. Qualcuno si trastulla infatti col governo del presidente dopo il voto. Di Schultz ne basta uno, che resti in Germania.

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