Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e forse finirai con l’accorgerti che ha un po’, o molto, di ragione.Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.
Antonio Gramsci
di Vindice Lecis
La comunità del rancore che vota per Giorgia Meloni fa il tifo per Israele che massacra i palestinesi, odia i manifestanti pacifici che chiedono la pace e si battono contro la guerra, detesta le donne libere, dileggia i sindacati, giustifica il ritorno indietro delle conquiste e respinge ogni tentativo di costruire una società senza squilibri.
La comunità del rancore, dell’odio per chi non è omologato all’estremismo europeistico guerrafondaio e ancora difende la Costituzione, è il cemento ideale di Giorgia Meloni e del suo trumpismo ruspante, familistico, che confonde l’egemonia con una pervicace occupazione del potere.
Se leggiamo i post sui social dei suoi sostenitori traboccanti odio, minacce e violenza verbale contro ogni idea democratica, possiamo avere una carta d’identità di un certo elettorato, non privo di sfumatura ma certamente realistico.Un fritto misto di concetti, una melassa indigesta di onore, orgoglio, nazione sparsi a piene mani. Cementati da un fondamentalismo religioso, da strabiche letture di miti nordici, da un revisionismo storico degli sconfitti che vogliono la rivincita. Un patetico guazzabuglio di Gollum, anelli, comunitarismo tolkeniano con l’occhio languido verso il fu duce, Pavolini, Gentile e la banda Kock.
Certo, quando si grida tutti i giorni al fascismo, insegnava Giorgio Amendola, si perdono di vista i chiaroscuri, le differenze tra fascisti veri e propri, i reazionari, i conservatori. Tuttavia in Italia il pericolo di una deflagrazione degli ordinamenti repubblicani e costituzionali è ben vivo.
In Italia c’è dunque un pericolo di fascismo? Nei termini del passato, no. Ma avanza uno svuotamento degli istituti democratici, dei contrappesi costituzionali, del ruolo del Parlamento in favore di un decisionismo spiccio e sbrigativo. L’ evidente torsione autoritaria contro la libertà di manifestazione, l’autonomia della magistratura, la libertà dell’informazione e di insegnamento e persino dello sciopero, sono un chiaro e preoccupante segnale di trasformazione involutiva del sistema repubblicano, al quale si aggiunge il fastidio verso il dissenso al pensiero dominante della guerra e del riarmo (in questo in sintonia con un’ampia area di liberali alle vongole).
Giorgia Meloni è, dunque, un pericolo?
La presidente del Consiglio e il suo partito lo sono certamente. Perché provengono dalle file del fascismo italiano, figli non solo della Repubblica sociale sconfitta dalla Resistenza ma contigui con quel neo fascismo atlantista e stragista che ha devastato l’Italia sin quasi dall’immediato dopoguerra.
Il non fare i conti col fascismo da parte di Giorgia Meloni e dei suoi accoliti è il propellente del loro agire. Sottovalutare dunque il pericolo che stiamo vivendo sarebbe un errore mortale. Forze diverse ma convergenti lavorano come vermi nella mela della nostra democrazia. Quello di Meloni è un governo che incarna il riarmo, anzitutto e l’idea, a dire il vero grottesca, di ricostruire un ruolo coloniale dell’Italia.
Le sue radici, come quelle del truce salvinismo da operetta, affondano in quella catacombale cultura del neo fascismo e della a-democrazia del tutto estranea ai valori repubblicani.
Possiamo citare l’attrazione verso le élite, il disprezzo verso i ceti popolari e le sue ansie di riscatto, il machismo, l’ostilità verso gli ordinamenti parlamentari (a cui si sentono estranei), un’idea di nazione confusa che ha radici bizzarre in una sorta di suprematismo e di tradizionalismo da cui discendono il disprezzo verso gli altri popoli e le altre culture.
Alcune coincidenze e somiglianze tra passato e presente vanno ricordate. Il fascismo diciannovista fu anti socialista e nazionalista, una forza politica reazionaria contro il movimento operaio ed eversiva verso l’ordinamento liberal democratico. Anche allora esaltavano le élite disprezzavano la democrazia dell’epoca.
La domanda è perché un partito erede del fascismo di Salò, quello filo nazista e delle leggi razziali, oggi sia il primo partito del Paese. Saldamente, dicono i sondaggi.
C’è un’affermazione di Antonio Gramsci, lume da seguire nel buio delle analisi: La borghesia cambia di spalla al suo fucile. Si trattava di un riferimento al Patto Gentiloni tra Stato e chiesa del 1912, ma anche oggi la borghesia, le élite finanziarie e il capitalismo straccione ammantato di presunto europeismo hanno compiuto l’ennesima transumanza.
Mi spiego: il mondo conservatore, reazionario e persino filo fascista è un bacino elettorale che cambia spalla al fucile quando è necessario. Dopo la fine della Dc è stato il berlusconismo del partito azienda e della devastazione televisiva come arma di consenso a rappresentare l’ideologia dell’anticomunismo, del disprezzo delle regole, dell’arretramento dei diritti. Declinato il berlusconismo e la sua lunga epopea (nel 2013 Forza Italia superava i sette milioni e trecentomila voti!) con armi e bagagli e interessi è arrivato il tempo della Lega. Una forza diversa da Forza Italia ma con all’interno logiche comuni. Nelle politiche del 2018 ottenne 5,3 milioni e l’anno seguente alle europee il partito di Salvini ebbe nove milioni di voti.
Nel frattempo il centro sinistra sosteneva Monti e il feroce rigore, poi Letta, quindi Renzi (40 per cento alle Europee, fumo di paglia prima del tentativo di devastazione costituzionale, per fortuna sconfitto dagli elettori), e infine Gentiloni. Tutti governi di forte impianto liberista e anti popolare (pensioni, lavoro, scuola, ambiente, austerità ). Il centro sinistra era corrotto dai virus mefitici della destra, ne aveva introiettato l’agire politico, sposato le necessità e gli orientamenti.Dopo il triennio di Conte, il Draghismo divenne la nuova religione: severità nei conti, austerità marcata, estremismo europeista e, questione decisiva, la russofobia armata.
La statista della Garbatella ha ricevuto l’agenda Draghi rassicurando il mondo atlantista, quello israeliano, i grandi boiardi dello Stato e le famose élites finanziarie. Sospinta dai giornali, dalle tv e da potenti forze, la fascista mai pentita si è fatta accogliere a braccia aperte nel salotto buono di chi conta. Ma, attenzione: i suoi quasi sette milioni di voti delle politiche del 2022, uniti a quelli della Lega e di Forza Italia, raggiungono 11,3 milioni di consensi. Gli stessi delle precedenti elezioni. Il successo di Meloni è dunque frutto di un travaso di voti. Un cambio di egemonia interno.
Meloni è una tigre di carta, però.
Le grandi manifestazioni popolari contro il genocidio palestinese e contro Israele che hanno al centro l’idea della dignità e della sovranità nazionale e della pace hanno rimesso in discussione l’elegante tavolo dal quale mangia Meloni: Trump, l’atlantismo sfrenato sino alla guerra, la sudditanza verso Tel Aviv, i miliardi per le armi europee, l’occupazione del potere e dell’informazione radio televisiva, il massacro dello stato sociale.
Lei ha perso la testa, letteralmente.
A questo punto dobbiamo chiederci se sia possibile schiantare la presunta inattaccabile stolidità degli elettori della destra per traghettarli su posizioni democratiche.
Prima di tutto, le scomuniche anche se meritate, non servono un granché. Nelle celebri Lezioni sul fascismo Palmiro Togliatti alla Scuola leninista di Mosca nel 1935 spiegava bene cosa fare e cosa non fare:
“Quando parliamo di avversari non abbiamo in vista le masse che sono iscritte alle organizzazioni fasciste, socialdemocratiche, cattoliche. Avversari storici sono le organizzazioni fasciste, socialdemocratiche, cattoliche ma le masse che vi aderiscono non sono nostri avversari, sono delle masse di lavoratori che noi dobbiamo fare tutti gli sforzi per conquistare”.
Non generalizziamo, non isoliamoci dunque sulla montagnetta di una presunta superiorità morale. Evitiamo lo schematismo. Dobbiamo invece guardare all’Italia sempre più povera, ai consumi che si contraggono, alle bollette insostenibili, agli studenti che abbandonano la scuola, ai contratti precari ormai come schiavitù, al calo verticale della produzione industriale e alla quasi totale scomparsa della manifattura, alle devastazioni ambientali.
Rilanciare un’idea nuova di Italia e d’Europa l’opposto di quella d’oggi ma anche di un recente passato è la strada da indicare a quei giovani che hanno riempito le piazze. Perché quando si immagina l’Europa (e l’Italia) come uno sterminato mercato figlio di una moneta e non di ideali, che diventa un gendarme ossessivo sulla nostra vita e parla solo di guerra e austerità e di pareggi di bilancio ebbene solo con una critica radicale a quei modelli di totalitarismo, alla trasformazione della democrazia in oligarchia, si potranno erodere le basi di massa a questo incubo reazionario che è il governo Meloni-Trump.

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