La campagna milionaria dei Paperoni del Sì contro i francescani del No

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di Vindice Lecis

Chi è Jim Messina e perché parliamo (anche) di lui?

Il quotidiano torinese La Stampa ha rivelato che il Pd ha una barca di soldi da spendere. Per il referendum del 4 dicembre,  Renzi e i suoi possono infatti disporre di 2.8 milioni di euro per mettere benzina ad una campagna capillare a favore del Sì fatta di opuscoli, manifesti di stampo populistico-berlusconiano persino sugli autobus (“cara Italia, vuoi diminuire il numero dei politici? Basta un Sì”, che nemmeno Farage…), sms e telefonate. Una campagna di partito che affianca quella dei  singoli ministri. I titolari dei vari dicasteri stanno utilizzando ogni occasione istituzionale (sia che si tratti di viaggi in Sud America che si parli del Ponte sullo Stretto) per fare propaganda referendaria. In questa azione si sono distinti, con maggiore o minore eleganza, in particolare Maria Elena Boschi, Graziano Delrio, Carlo Calenda, Piercarlo Padoan e Giuliano Poletti. Una campagna accompagnata dal rimbombo sinistro delle minacce ansiogene delle istituzioni finanziarie internazionali, sostenuta dai rari testimonial del Sì: visti i sondaggi in calo, è stato subito calato l’asso-Benigni (su Mediaset) con la sua confessione-ricatto a proposito di effetto Brexit in caso di vittoria del No.

Di questi 2,8 milioni, dicevamo, ben 400 andranno a un “guru” nord americano: quel Jim Messina considerato in patria l’artefice della vittoria di Obama del 2012. Quattrocento mila euro sull’unghia per chi ha comunque dimostrato di aver sopravvalutato la popolarità del premier italiano.  Ben lontana dai fasti da Re Mida e dalla sicumera di chi riteneva di avere il Paese ai suoi piedi sperando in un eterno 41% delle Europee costruito con una miscela di annunci, capitalismo compassionevole da 80 euro e propaganda.

Jim Messina è l’artefice della prima personalizzazione del referendum. Quello che ha voluto trasformare la baldanza renziana in un’ordalia, in un giudizio di Dio. La “personalizzazione” è stata fatta proprio dal premier, pervaso o posseduto da un’ipetrofia dell’ego corroborata da bulimia di potere e assenza reale di avversari interni. La personalizzazione è stata una genialata. Ma ha avvantaggiato lo schieramento avverso. Una manna per i “gufi” e i “rosiconi” del No, per l’Anpi e i comitati che sono nati in tutto il Paese senza un soldo ma animati da passione per la Costituzione più bella del mondo. Una vasta coalizione si è così, involontariamente, raggruppata attorno all’idea che con il No si potesse salvare la Costituzione nata dalla Resistenza e indebolire pesantemente Renzi. Che per mesi ha proseguito nella sua affermazione di voler lasciare in caso di sconfitta.

Napolitano è così sceso in campo per aiutare il discepolo fiorentino. Il “padre della riforma” e presidente emerito gli ha consigliato di uscire dall’angolo della personalizzazione e di insistere invece sui temi referendari. Renzi lo ha seguito per qualche settimana, poi in ogni occasione (incontri con imprese del tabacco e con Salini, boss della Impregilo) ha ancora una volta fatto capire (coadiuvato da Delrio) che una vittoria del No non sarebbe stata ininfluente per il suo governo e per il destino dell’Italia.

Perché questo lungo ragionamento? Per evidenziare, come dato di cronaca, che lo scontro è tra blocchi sociali più che tra forze politiche. Paperoni contro francescani come spiega La Stampa? Certo è che lo strapotere mediatico del Sì è enorme: dalla sua parte i Tg delle tre reti Rai, la non belligeranza di Mediaset (Renzi è di casa nel salotto della D’Urso), tutti i grandi giornali. Ma è enorme anche il fuoco di fila contro il No sparato dalla finanza internazionale, da Jp Morgan a Fichte con l’ombrello dell’ambasciatore americano Philips. Poi c’è l’aiuto diretto e assai invasivo di Confindustria, Marchionne, Coldiretti, Cisl e varie organismi collaterali al Pd. Il No invece procede con i suoi comitati in tante città, con i 180 mila euro raccolti e già spesi, con la propaganda e la campagna sulla Rete, con l’ausilio del Fatto Quotidiano  e il Manifesto. “Combattiamo con la cerbottana contro chi domina i media e dispone di milioni” ha detto il costituzionalista Alessandro Pace che con Zagrebelsky guida il Comitato per il No.

Che c’entra Messina? Come ha ricordato il settimanale L’Espresso questa storia dei consulenti americani in Italia porta male: ricordiamo l’ex consulente 
di Bill Clinton, Stanley Greenberg, assoldato da Rutelli nel 2001; Karl Rove
 (braccio destro di George W. Bush) chiamato ad aiutare Berlusconi nel 2006; David Axelrod (artefice della campagna di Obama del 2008) con Mario Monti 
nel 2013. Risultati? 
Tutte sconfitte.

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