Soru e Pigliaru, il finto scontro sulle macerie dell’autonomia sarda

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di Vindice Lecis

Davanti alla furia di Renato Soru che lo mette sotto accusa per il disastro dei trasporti aerei da e per la Sardegna, Francesco  Pigliaru attuale presidente della giunta regionale se ne esce con un’ammissione tenera. Che si, “stiamo dormendo male” per le preoccupazioni. Diciotto rotte aeree perse sono state lo spunto per l’ennesimo litigio in casa Pd. Litigio finto, per niente attraente perché, come accade sovente, in quel partito  trovano sempre una camera di compensazione.  In genere in Sardegna i maggiorenti si riuniscono a Tramatza, baricentro stradale sulla scalcagnata 131 oppure nei locali di quella che fu la piccola federazione comunista di Oristano. Compensazione che trasforma le rese dei conti annunciate in una tavola apparecchiata di nomine e accordicchi.

Lo scontro tra i due campioni iper renziani del Pd sardo ha la stessa autenticità di quello tra un Lotti o una Boschi. Entrambi sono vicini, vicinissimi al capo e vogliono,sollecitandola, la sua calda benevolenza.  Soru rappresenta una stagione del centro sinistra che appare lontanissima per progettualità e visione.  Che pure non aveva del tutto demeritato, anzi. Ma ora smarrita nel crepuscolo dell’uomo approdato al partito della nazione e alla teorizzazione di una fangosa comunità di destino. Pigliaru invece è la continuazione del montismo professorale in salsa renziana, appagato dal ruolo e ispirato dal sacro fuoco liberista.

Il solipsismo di Soru animato dall’io come unica realtà sembra, ma solo in apparenza, contrapposto all’ex dirigente di Lotta Continua, quel Pigliaru che appare come un Monti al pane carasau, gelido, distaccato, indifferente, impassibile. Che si tagli  la sanità e  si amoreggi col San Raffaele qatariota o che si parli di rotte aeree perse in un disastro gigantesco, Pigliaru ha sempre la ricetta, i termini giusti, le analisi impeccabili, le formule appropriate delle più raffinate scuole economiche.

Eppure lo stato della Sardegna, imporrebbe maggiore attenzione al partito egemone, onusto di cariche e un tempo carico di voti. Oggi alle prese con gigantesche emorragie di elettori e iscritti. Non basta controllare credito, ricerca, istituzioni per saper governare con quello spirito autonomistico e di rinnovamento vero che la Sardegna merita.

Il professore eletto con centro sinistra ha imposto una giunta che sembra un senato accademico ma più imbarazzante per dosaggi particolari, curiosi, non chiarissimi. E ha appoggiato ogni desiderio del renzismo, a partire dall’abolizione dell’articolo 18. Stesso atteggiamento che ha il presunto competitor, l’imprenditore  prestato da anni alla politica e con diversi e imbarazzanti vicende giudiziarie che ne dovrebbero consigliare il ritiro. Scontro tra renziani incuranti davvero delle cose sarde, le cui ricette non sono chiare, che hanno con ruoli diversi accettato però di far perdere l’autonomia della Sardegna  mettendosi entrambi dalla parte di Renzi. Voteranno infatti si, felici e contenti, fino alla nuova, finta, litigata

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