Ora c’è la conferma: crollo dei contratti stabili, cento milioni di voucher e boom dei licenziamenti. Col jobs act lavoro sempre più precario e senza diritti

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Sappiamo che cosa sono i voucher? Siamo consapevoli che, dei cosiddetti buoni lavoro destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, ne sono stati venduti da gennaio ad agosto qualcosa come 96,6 milioni? Un dato spaventoso. Avrebbero dovuto regolarizzare, quando furono istituiti nel 2008,  il lavoro occasionale in agricoltura, in particolare per le vendemmie. Ora sono diventati il simbolo dello sfruttamento, della precarietà, della polverizzazione del lavoro in Italia. Una forma di schiavismo legalizzato. Questo dei voucher è comunque solo uno dei tanti dati allarmanti che emergono dallo studio dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps. Che decreta senza appello che il jobs act è fallito.

Il jobs act è fallito nel suo obiettivo dichiarato di scambiare la cessione di diritti con più lavoro e garantire così, da parte delle imprese, nuove assunzioni. Su questo la sua sconfitta sul campo è netta. Ma ha invece ottenuto, dopo le pressanti richieste congiunte di Confindustria, destra economica e istituzione europee e finanziarie, quello che molti governi volevano fare da tempo. Costruire cioè un mercato talmente flessibile da essere diventato il luogo stesso della precarietà, dell’arbitrio e dello svilimento del lavoro. C’era da togliere di mezzo l’articolo 18 e questo è stato fatto. C’era da rendere ancora più flessibile l’attività produttiva e anche questa tappa è stata raggiunta con la precarietà diventata prassi e norma. E a questi traguardi si sono aggiunte altre pratiche scivolose, vale a dire il demansionamento e il controllo a distanza. Una riduzione degli ammortizzatori sociali ha determinato l’assenza di certezze.

I dati dell’Osservatorio sono devastanti.  Le assunzion si sono ridotte di 351 mila unità rispetto al corrispondente periodo del 2015. Un calo dell’8,5%. I contratti a tempo indeterminato sono crollati di 395 mila unità pari al 32,9% rispetto al periodo precedente. Numeri che dovrebbero creare un fortissimo allarme da parte di chi governa. Al posto dei contratti si sono affacciati i quasi cento milioni di buoni lavoro. Andiamo avanti: nei primi otto mesi del 2016 sono stati stipulati 1.059.834 contatti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni di accordi già in essere) a fronte di 1.006.531 cessazioni di rapporti di lavoro stabili. L’Inps ha calcolato che il saldo positivo di 53.303 unità è inferiore dell’88% a quello dello stesso periodo del 2015.  La conferma che gli sgravi avevano drogato il mercato senza fornire modifiche strutturali e di lunga durata.

Un’ondata di licenziamenti ha inoltre investito il già debole apparato produttivo italiano. Frutto avvelenato del jobs act. Le espulsioni dal lavoro sono passate da 290.556 a 304.437. Ma sono cresciuti i licenziamenti cosiddetti disciplinari, quelli per giusta causa passati da 36.048 a 46.255 con un aumento del 28%. Senza l’articolo 18 le aziende hanno avuto mano libera per cacciare con pretesti migliaia di lavoratrici e lavoratori. C’è anche una singolare coincidenza tra l’approvazione del decreto attuativo del jobs act del marzo 2015 e l’ondata di licenziamenti.

Paghe sempre più basse dice ancora l’Osservatorio dell’Inps. Per le assunzioni a tempo indeterminato si registra una riduzione della quota di retribuzioni inferiori a a 1750 euro. Meno diritti, più licenziati, paghe da fame. Qualsiasi ministro del Lavoro si sarebbe dimesso per manifesta incapacità. Anche per riflettere sui 18 miliardi di sgravi per le imprese spesi inutilmente.

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