Gregorio Magno e i misteri del barbaricino Ospitone

Facebooktwittergoogle_pluspinterestlinkedinmailFacebooktwittergoogle_pluspinterestlinkedinmail

di Vindice Lecis

Poiché nessuno della tua gente è cristiano, per questo so che sei il migliore di tutto il tuo popolo: perché tu sei cristiano. Mentre infatti tutti i barbaricini vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano i legni e le pietre, tu, per il solo fatto che veneri il vero Dio, hai dimostrato quanto sei superiore a tutti”. Questo è il celebre inizio dell’epistola di Gregorio Magno a Ospitone (Hospiton) il capo dei barbaricini che abitavano la parte centrale e montuosa della Sardegna. Inviata dal papa nel maggio del 594, è l’unico riferimento al dux barbaricinorum e all’esistenza in vita e sul proscenio della storia di questo misterioso e straordinario personaggio.

Ma di figure svelate come la sua vissute in quello scorcio della fine del VI secolo, ne troviamo molte altre in Sardegna. Un periodo illuminato dalle quarantun lettere di Gregorio Magno riguardanti l’isola, scritte tra il 590 e il 604. I nomi che emergono in quel passaggio della storia segnato dalla presenza dell’impero bizantino e dalla pressione fortissima dei longobardi in Italia, sono numerosi e di diversa caratura. Tutti popolano quel meraviglioso epistolario del grande papa: dal vescovo di Carales e metropolita della chiesa sarda, Gianuario ai duces Teodoro, Eupaterio e, specialmente, Zabarda. Dal praeses Spesindeo al vescovo di Turris Mariniano, dalle donne religiose Teodora e Pomponiana al discusso, ma poi scagionato dalle accuse, presbitero Epifanio. E molti altri. Un tesoro di informazioni noto da tempo ma che un libro di Tomasino Pinna (docente dell’università di Sassari scomparso pochi mesi fa) illuminò con nuova intensità.

Non di un libro recente parliamo in questa rubrica, ma di un testo pubblicato nel 1989 dalla 2D editrice Mediterranea, attualmente introvabile se non nelle biblioteche. L’allora ricercatore della facoltà di Magistero dell’Università di Sassari e allievo di Clara Gallini lo pubblicò col titolo “Gregorio Magno e la Sardegna”.

Pinna cercò di ricostruire, come spiegò, un quadro della realtà religiosa della Sardegna. E per farlo compì un’operazione che oggi sembra semplice o scontata: tradusse le 41 lettere di Gregorio sulla Sardegna, dal latino in italiano. Nell’introduzione del libro Pinna scrive con stupore che di quei documenti largamente utilizzati dagli studiosi non si pensò “mai di presentare una traduzione integrale del testo”. Ma nel fare questo non si pose obiettivi filologici ma “piuttosto di finalità di diffusione dei contenuti di una fonte storica di così rilevante portata”.

Tuttavia con una lettura critica dei testi e indagando, la nave della ricerca prese il largo e questo consentì di fornire un contributo alla comprensione della realtà sarda dell’epoca con particolare attenzione a quella religiosa, in collegamento con quanto accadeva nel mondo. Il testo di Pinna che ripropongo oggi all’attenzione è davvero una chiave per capire meglio la realtà del cristianesimo sardo e quali problemi si trovò ad affrontare.

La Sardegna era una preoccupazione molto grande per Gregorio. Come lo era per i governanti bizantini (li chiamiamo in questo modo per convenzione ma sarebbe più corretto definirli romani) per svariati motivi. Le lettere lo confermano. Per la chiesa di Roma l’isola era ancora un covo di pagani, barbari e idolatri, dediti alla magia e dominati da aruspici e guaritori di ogni risma. Il papa, vista l’inefficienza delle strutture episcopali sarde, inviò pertanto nell’isola nel 594 due suoi emissari di assoluta fiducia, due agenti già utilizzati in altre missioni: il vescovo di Porto, Felice, e l’abate benedettino Ciriaco. Costoro avviarono una capillare azione di evangelizzazione e conversione anche nelle aree più impermeabili della società sarda, quella barbaricina o per meglio dire quella rurale. E allo stesso tempo divennero gli occhi e le orecchie di Gregorio, mettendo sovente in stato d’accusa proprio il nostro Gianuario, uomo anziano e semplice ma pur dotato di una certa energia.

L’obiettivo era quello di battezzare quanti più pagani possibile. Ma anche debellare le sacche ampie di “magia” che allignavano nella società sarda. Indovini, aruspici, stregoni, dispensatori di magie operavano infatti non solo nelle campagne ma anche nei centri urbani. Non mancavano anche i preti che portavano sia la voce di Dio che trasformandosi in guaritori o anche in “maghi” dispensatori di sortilegi (straordinaria la vicenda del prete Paolo, che fugge in Africa prima di essere arrestato e punito).

In Sardegna infatti si era raggiunto quella che Pinna definì il compromesso tra Chiesa e paganesimo. Vescovi e preti avevano trascurato le campagne ed erano tolleranti nei confronti anche dei residui pagani delle città. Pertanto operava attraverso “operazioni di compromesso” e azioni di recupero. I “bizantini” allo stesso modo, rappresentanti dell’impero cristiano, utilizzavano la pratica religiosa pagana per far guadagnareall’erario e a se stessi: istituirono infatti una tassa per chi voleva in tranquillità continuare a restare tale. Tassa che si trasformò in tangente esosa anche per quei pagani diventati cristiani. E Gregorio scrisse anche all’imperatrice Costantina per denunciare tali abusi.

Il libro di Pinna si conclude con l’ampia parte dedicata alle lettere di Gregorio sulla Sardegna e indirizzate a vescovi, duchi, presidi, defensores e possessores, all’imperatrice stessa. Epistole, si è detto, dove vengono svelati bene i personaggi che animavano l’inquieta ribalta sarda dell’epoca. Emerge con chiarezza sufficiente, una descrizione di tipo cronachistico e se vogliamo anche letterario delle vicende della Sardegna. Attraverso i personaggi ai quali le lettere sono indirizzate scopriamo l’attività della chiesa sarda, anche con le sue miserie di pigrizie e malversazioni, il sistema fiscale, possiamo immaginare alcuni aspetti dell’organizzazione sociale, comprendiamo le esigenze difensive di fronte al pericolo longobardo, le diatribe sui testamenti, la vita dei monasteri, le questioni della magia e del paganesimo. E molte altre cose ancora.

E spunta come una luce brillante e isolata il nome di Ospitone. Il capo barbaricino chi fu realmente? Dalle lettere emerge poco. Possiamo immaginare che cosa portò alla sua conversione e perchè costui, pastore guerriero certamente assai abile, fu costretto a stringere una pace con i bizantini di Zabarda. Ma il suo nome scompare subito nei misteri della nostra lunghissima storia.

Tomasino Pinna, Gregorio Magno e la Sardegna (2D Editrice Mediterranea, Cagliari, 1989)

Facebooktwittergoogle_pluspinterestlinkedinmailFacebooktwittergoogle_pluspinterestlinkedinmail

Be the first to comment on "Gregorio Magno e i misteri del barbaricino Ospitone"

Leave a comment