Terrorismo islamico: perché l’Italia non può sentirsi al sicuro

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di Vindice Lecis

Il Califfato è perfetto: qui si tagliano le teste e si segue la legge di Allah”. Maria Giulia Sergio, fanatica convertita musulmana italiana col nome di Fatima, così si esprimeva col padre dalla Siria dove era fuggita per diventare “cittadina” o meglio suddita di Daesh il sedicente Stato islamico. Il processo contro di lei e suo marito, latitanti, è in corso a Milano. E rivela la potenziale pericolosità dei jihadisti sul nostro territorio. Fatima è un caso isolato? O piuttosto – quanto lentamente emerge dalle inchieste in molte parti d’Italia – la conferma che molti terroristi o aspiranti tali sono tra noi?

E’ fuorviante convincersi che l’Italia sia da considerarsi immune o quasi dalla contaminazione del terrorismo jihadista e dalla radicalizzazione di settori ampi dell’islam. Pochi giorni fa il Fatto quotidiano citando fonti dell’intelligenze italiana ha indicato in ben tremila le segnalazioni sul jihad. Allarmismo o realtà? Allarmismo no di certo. Ad esempio nella sola Lombardia, culla del radicalismo, sono quaranta i fascicoli aperti con l’ipotesi di terrorismo.

Il 13 novembre sarà trascorso un anno dall’attacco stragista del Bataclan a Parigi dove il terrorismo islamico ha falciato la vita di 130 persone. Non c’è stata da allora nessuna isteria collettiva ma l’attacco terroristico, l’ennesimo, al cuore dell’Europa ha pesato sulle coscienze e si è insinuato come una lama tagliente nelle nostre vite. Perché solo una sciocca sicurezza può ritenere che i rovesci di Daesh in Siria e in Iraq non portino anche alcuni pericoli.

Il primo è rappresentato da quella dozzina di foreign fighters rientrati nel nostro Paese dai teatri di guerra. Secondo i servizi questa è la più grande delle priorità. Il secondo è il rapporto che lega molti degli arresti recenti – ad esempio tra Liguria e Lombardia in tempi diversi – che confermano un legame organizzativo gestito da un reticolo di reclutatori insospettabili. Il terzo è la radicalizzazione esistente nelle carceri italiane che sono autentici focolai di proselitismo.

Ma la vera questione è un altra. Ed è il salto di qualità che porterebbe – e gli ultimi arresti a Cassano d’Adda, Bulciago, Costa Masnaga in Lombardia questo confermano – non solo all’invio di combattenti nei teatri di guerra ma a compiere operazioni in Italia. Con cellule dormienti o lupi solitari non è dato evidentemente saperlo. Ma la prevenzione può fare molto.

A oggi sono 123 le espulsioni di sospetti terroristi e islamici radicalizzati (tra cui moltissimi imam) dall’Italia. Solo quest’anno ne sono stati allontanati 56. Sono circa 110 i potenziali simpatizzanti jihadisti sotto controllo e altri trecentocinquanta, molti dei quali decisamente pericolosi compresi i 39 imputati per terrorismo, sono nelle carceri. Il problema è dunque dipanare il filo che porta a capire la provenienza dei finanziamenti, le complicità e l’ utilizzo del web per il proselitismo.

La questione del finanziamento è basilare. Un settore opaco riguarda i money trasfer strutturato in 35 mila sportelli che movimentano 5 miliardi di euro. Attorno a questa ragnatela si muove un mondo non chiaramente illuminato fatto anche di contiguità al terrorismo. Ne fanno fede alcuni dati: le 597 operazioni sospette e i ventimila nomi di potenziali complici che a vario titolo ne sono coinvolti. A questo strumento si aggiunge il non tracciabile metodo hawala: il cliente avvicina i mediatori e consegna la somma che deve essere trasferita in un Paese. Costui contatta il suo omologo estero con le informazioni necessarie promettendo il saldo in loco.

Sarebbe da comprendere meglio la matassa estera che governa l’islam italiano. Il Quatar charity appoggia e foraggia l’Ucoii la discussa organizzazione vicina ai Fratelli musulmani e sta finanziando la costruzione di 25 moschee. Bisognerebbe tracciare e rendere trasparenti i flussi dei petrodollari sauditi. L’islam italiano vive eccessivamente dipendente da alcuni paesi, come la Turchia e il Marocco. Trasformandosi in qualcosa di poco intelleggibile, di sorta di agenzie di stati stranieri all’interno dei confini nazionali.

Ad agosto il ministro della Giustizia Orlando denunciò “ un ruolo dell’Isis nella gestione del flusso dei migranti verso l’Europa”. E aggiunse al Corriere della Sera che “si sospettano canali di finanziamento del terrorismo attraverso le organizzazioni che fanno partire i migranti in Egitto e Libia, decidendo quanti mandarne in Italia, quanti in Grecia o altrove”. Ha aggiunto che il controllo delle attività dei musulmani più estremisti resta una priorità: nelle scuole, nelle carceri, nei luoghi di culto, nelle carceri e tra quanti arrivano a chiedere asilo. “E’ certo che alcuni foreign fighters sono arrivati in Italia mescolati ai migranti” ha ribadito, aggiungendo che queste persone “hanno punti logistici nel nostro Paese per esempio in Toscana ed Emilia Romagna”.

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