Il caso del senatore Uras: da Bertinotti a Vendola fino al sì al governo Gentiloni. Caro, ma perché fai così?

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di Vindice Lecis

Maximilien Robespierre in un famoso discorso del 1791 all’assemblea nazionale, spiegava che la “prima passione dei Re in generale, dei loro corpi consiliari, dei loro cortigiani è di mantenere ferma la loro potenza assoluta e quella dei loro pari”. Perché, aggiungeva L’Incorruttibile, “la loro grande arte, è quella di dissimulare, di preparare, di facilitare i successi della forza con l’accortezza di cui sanno addormentare la credulità dei popoli. So che essi non sono mai tanto temibili come quando sfoggiano con la massima pompa quei sentimenti di giustizia, di umanità che amano profondere nelle loro dichiarazioni e nei loro proclami”.

Stop alle citazioni. E, in particolare, che cosa c’entra in tutto ciò il senatore Luciano Uras richiamato nel titolo di questa nota? C’entra, c’entra. Perché tra i Sì al governo fotocopia di Gentiloni – che riprende e rivendica in tutto e per tutto le scelte di Renzi a partire da jobs act, buona scuola, sblocca Italia e altre sciagure – c’è anche il voto favorevole del senatore Uras. Il parlamentare di Iglesias è esponente del Gruppo Misto – con il suo collega Stefàno – dopo aver lasciato Sel pur di non aderire alla bolscevica formazione di Sinistra Italiana.

Ma Uras non era all’opposizione di tutte le scelte del governo Renzi? Che cosa è cambiato, dunque per far sbocciare questa passione per il Pd? Colpiscono le sue argomentazioni – ed ecco spiegato il riferimento a Robespierre e alla dissimulazione – addotte dal Nostro in una pensosa dichiarazione rilasciata ad un’agenzia di stampa. La riportiamo quasi per intero: “Facciamo nostra la preoccupazione del Capo dello Stato. In questa fase, il Parlamento ha il dovere di mettere in sicurezza il Paese e le nostre comunità… Avremmo potuto tranquillamente lucrare sulle posizioni politiche legittimamente sostenute in questi anni di opposizione o accomodarci tra coloro che gridano vittoria sulle macerie, rispondendo No alla chiamata di responsabilità e condivisione. Invece abbiamo deciso di dare valore al nostro voto, di renderlo disponibile all’avvio della necessaria rivitalizzazione del campo democratico e progressista, interpretato non come uno sterile prolungamento della storia della sinistra italiana, ma come uno spazio partecipato per la costruzione di un futuro più sicuro, di migliori condizioni di vita e di più giustizia sociale”.

C’è da restare interdetti. La legittima attività di opposizione viene definita “lucrare”. L’azione di denuncia dei mali del Paese diventa “gridare vittoria sulle macerie”. Ed ecco così che il soldato Uras risponde obbedisco al grido di dolore che, nientemeno, giunge dalla Nazione non senza aver punto con la coda del veleno i suoi vecchi compagni di strada definiti “sterili prolungamenti della storia”.

Le robuste note biografiche di Uras ci dicono che è stato sindacalista della Cgil – ma anche Valeria Fedeli lo è stata – fino al 1994 prima di essere stato eletto al Consiglio regionale della Sardegna nelle file di Rifondazione comunista per ben due mandati (allora non si chiamava sterile prolungamento). Poi, declinando i consensi di Rifondazione, è arrivata giusta in tempo la garrula zattera di Sel – Sinistra, ecologia e libertà – il partito diretto da Nichi Vendola, accogliente rifugio di ex Rifondatori, ex Ds, ex socialisti, ex Verdi. Naturalmente per l’uomo forte di Vendola nell’isola è arrivata la nuova elezione a senatore. Lui in cambio non ha mai fatto mancare le sue attenzioni alla Sardegna, con indubbia capacità manovriera in netta sintonia con il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda.

Episodi bizzarri di accordi spericolati non mancano alle cronache. Ad esempio, nel gennaio 2015 annunciò la formazione di un – udite – “polo sovranista” con il deputato del Centro democratico Roberto Cappelli e l’assessore regionale del Pds (Partito dei Sardi) Paolo Maninchedda. Un polo testa-coda con orientamenti diversi e opposti all’interno, utile per fare lobbing politica in Consiglio. Nel frattempo Uras si prendeva il partito e metteva in minoranza un altro ex di Rifondazione, il deputato Michele Piras, entrato invece in Sinistra Italiana.

Ma il famoso polo sovranista ha avuto vita breve ed ecco che Uras, inesausto, s’inventa (sempre con i fedelissimi e sempre con Massimo Zedda) una nuova convergenza con Rossomori e Irs. Anche di questa aggregazione si è persa traccia.

Resta invece – e qui il discorso si fa un tantino opaco – la marcia di avvicinamento sua, di Zedda e di altri fedelissimi verso il Pd. Un’attrazione netta, evidente e sostenuta da pochi supporti “teorici”. Sia che si tratti di un ingresso nel partito di Renzi (ora ricoperto di macerie post referendarie) sia che invece voglia significare un’alleanza con esili piattaforme che hanno il sapore della ruota di scorta (tendenza Pisapia). Una deriva che è cominciata da tempo e che ha avuto nel disinvolto Gennaro Migliore il rappresentante più significativo. Una storia che nasce da lontano, dalla debolezza delle basi teoriche del bertinottismo, proseguita nella impalpabile narrazione vendoliana fino alla resistibile attrazione di pezzi di Sel verso il renzismo. Opportunismo, annebbiamento delle prospettive politiche della sinistra, offuscamento dei valori? C’è anche questo, unito a una dose di manovriera furbizia, nell’ingresso di Uras nella nuova maggioranza Pd-Ncd-transfughi.

Ci sentiamo a nostro agio; non vi è tra noi neppure un uomo dabbene” disse Catilina ai suoi complici-congiurati. Auguri.

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