Il ballo con le janas, le fate della Sardegna del mito

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di Giovanni Cocco

«Dopo un’assenza di alcuni decenni, le janas sono tornate in Sardegna. Credevano d’essere immortali. Eppure hanno una grande paura d’essere dimenticate. Sperano di salvarsi affidando una missione particolare ad un uomo cresciuto in un paese: deve raccontare la loro storia, con la semplicità dei narratori che ha conosciuto da bambino. Soltanto così il mito può durare in eterno».

Si apre con queste righe il racconto di Tonito Oppes, Il ballo con le janas. Ed è subito un salto nel passato di intere generazioni cresciute intorno a quelli che un tempo furono “Sos contos de foghile”, i racconti del focolare. Quei racconti, fiabe o aneddoti, che servivano da collante tra le vecchie e le nuove generazioni. Sa paristoria ci parla del giovane Antine, Antioco e della jana Tidora, che compare ogni notte ai piedi del letto del giovane per raccontare le sue storie e la paura di essere dimenticata.

Un tempo, le fate sarde, vivevano in un grande palazzo in cima a Monte Oe, lavorando instancabilmente tutto il giorno, filando, tessendo e cantando. Nell’aria si spargeva una melodia e gli umani del paese gradivano e lavoravano con più gioia. Ma gli uomini temevano le janas, nessuno le vedeva, tanto meno si avvicinava alla loro dimora. Solo le janas, dopo una lunga giornata di lavoro, nonostante la fatica, riuscivano a divertirsi. Venivano attirate in paese dai colori della festa, dal vociare dei bambini, dalle musiche dei cantadores e dei balli che duravano sino a notte fonda. Loro entravano dal buco della serratura nelle stanze degli uomini belli e non sposati e giacevano con loro.

“[…] qualcuno si svegliava; forse intuiva una presenza estranea e allora finiva l’incantesimo. Altri continuavano a dormire e quando si svegliavano pensavano di aver fatto soltanto un sogno. Invece era tutto realtà. Qualche volta dopo aver fatto l’amore, abbiamo portato i nostri uomini nel palazzo di Monte Oe, per mostrargli i tesori nascosti in un grande pozzo scavato nell’ultima stanza. Durante il viaggio gli spiegavamo come comportarsi. Dovevamo solo guardare, almeno per quella sera, ma quelli… ah, il desiderio di diventare ricchi gli faceva perdere il lume della ragione. – Credo che capiti anche oggi. Si tuffavano sul tesoro cercando di arraffare più che potevano. In un attimo si ritrovavano catapultati nel loro letto interamente sporchi di carbone. Eppure c’era un modo per impossessarsi delle nostre ricchezze. – E quale? Domandò Antine con la curiosità del bambino impaziente, che vuole sempre anticipare la fine del racconto. – Piano non avere fretta…”

Quella di Tonino Oppes è una fiaba moderna, un racconto nel racconto, che recupera la memoria imprimendola nella carta per essere tramandata alle generazioni future. La sua scrittura è delicata come una piuma che accarezza lo sguardo. E quando inizierete a leggere vi sembrerà di cadere nelle suggestioni di un vostro ricordo, perduto dalle labbra di una nonna o di un parente lontano. Sarà piacevole rendergli omaggio, riviverlo leggendolo a voi stessi, ai vostri figli o nipoti, perché tutti noi abbiamo bisogno di sognare, e come dice l’autore “I racconti dell’infanzia durano tutta la vita, anche oltre, se viaggiano sulle ali delle janas”.

Tonino Oppes, Il ballo con le janas (Domus de Janas, 126 pagine, 10 euro)

Illustrazione di copertina: La danza, di Liliana Cano, collezione privata

Illustrazioni e retrocopertina di Daniele Conti.

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