Riscoprire la dimensione nazionale (contro l’Europa della finanza ricattatoria) è la cosa più di sinistra della Sinistra

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di Vindice Lecis

Non è vero che la sinistra viene sconfitta per la sua propensione alla scissione o per improbabili rigurgiti di estremismo. La sinistra perde quando smarrisce la sua identità di trasformazione o, peggio, adotta politiche e comportamenti simili a quelli della destra.

In Italia il grande equivoco si chiama Partito democratico. Un equivoco che consente pigramente a legioni di giornalisti di identificarlo con la “sinistra” e a inventare presunte alternanze con la “destra”. La trasformazione è avvenuta quando è stato abbracciato l’iniquo sistema maggioritario, antidemocratico, e la bizzarra ipotesi di “vocazione maggioritaria” che non vuol dire prendere più voti ma tutelare gli interessi del più forte. In quel momento il Pd, nato da due confluenze al ribasso tra tradizioni storiche ampiamente annacquate, sanciva la sua fuoriuscita dalla tradizione politica della sinistra. Per approdare a un confuso americanismo fatto di opposizione di sua maestà, alternanza di governo senza ambizioni di cambiamento, approdo alle politiche di necessità e compatibilità: alle richieste europee, anche le più antinazionali, alle esigenze della finanza, ai minacciosi proclami dei circoli più oltranzisti del finanzcapitalismo. La sinistra col Pd era già morta, rassegnata, inquinata.

L’entrata nell’euro, una moneta senza unione politica, ha fornito una formidabile accelerazione al processo di omologazione del socialismo europeo alle politiche delle oligarchie. L’abbandono della dimensione nazionale è andato di pari passo con uno scandaloso adeguarsi alla necessità di gestione dell’esistente e all’abbandono di qualsiasi ipotesi di trasformazione sociale.

Il Pd è risultato un partito scalabile a fenomeni di opportunismo, deriva conservatrice e furore antipopolare. Non c’è stato partito più rozzamente antisinistra del Pd che, pervicacemente, ha bombardato con il turborenzismo – e l’appoggio mai visto prima di oligarchie, boiardi di stato, finanza, governi stranieri e capitalismo italiano straccione o di relazione – decenni di conquiste sociali e civili.

E la sinistra? Non è solo un problema di scissioni, ma di idee. Che sono mancate perché tutte dentro l’alveo della compatibilità. Della cieca sudditanza alla cosiddetta Europa delle banche, delle tecnocrazie e dell’annullamento delle dimensioni nazionali. Queste sono essenziali e vitali per far crescere e progredire le sinistra. Non esiste, infatti, una dimensione globale per una sinistra globale nel senso di unica ricetta per ogni latitudine. Il Pci fece tanto per rompere l’egemonia di un partito (quello sovietico) nel movimento comunista internazionale e spezzare il sigillo di obbedienza. Tornare al passato sarebbe deleterio. Invece il Pd, ma anche altre forze, hanno vagheggiato a suo tempo di Ulivo globale (Clinton, Blair, poi Sant’Obama e chissà chi altro, forse Madre Teresa e Jovanotti) , hanno eliminato dalla loro analisi la questione dell’imperialismo, hanno abbandonato la questione nazionale. E ora in Italia ci ritroviamo Renzi. Da altre parti abbiamo invece Sanders, Corbyn e altri.

Da qui la sinistra deve ripartire. Anzitutto riscoprendo da dove è nata, dalle specificità nazionali, dalle radici. Ponendosi il problema dell’Euro e della riformabilità o meno di un impianto europeo che è vessatorio, antidemocratico e legate alle oligarchie finanziarie. La sinistra non deve essere quietista e apatica, per parafrasare Gramsci, ma riprendere in mano ipotesi di trasformazione profonda. E organizzare le lotte, il conflitto sociale senza il quale non si va da nessuna parte.

Detto questo, il Pd, per nascita e consuetudine, non può essere definito o considerato un partito di sinistra, né moderna né antica ma semplicemente altro. Certamente un osservatore non può però ritenere che Renzi o alcuni dei suoi avversari siano la stessa la cosa. Guardare alle cose del Pd è interessante e gli esiti dello scontro – grazie appunto alla forza dirompente di D’Alema e non alla vacuità molliccia di Bersani – possono determinare nuove dinamiche. Così come è interessante vedere gli approdi della cosiddetta Sinistra italiana, già minata da contrasti tra chi vuole un rapporto col Pd in un ambito di centrosinistra e chi invece crede in una alternativa che guardi più che alle giunte comunali a nuovi interlocutori popolari.

Poi ci sono i comunisti la cui debolezza pesa nella deriva attuale. Esistono, paradossalmente anche fuori dai partiti comunisti. Il Pci è tornato in campo con buoni e robusti argomenti di rappresentanza e ambizioni di far tornare in campo una tradizione politica e che non può essere lasciata alle pagine della storia. Rifondazione comunista che si appresta al congresso sancirà la fine della esperienza di Paolo Ferrero dopo dieci anni ma non riesce ancora cancellare la lunga stagione del bertinottismo, una delle pagine più bianche della travagliata storia della sinistra italiana. Ma i peggiori, nel frattempo e per fortuna di Rc, sono già andati via. Che i due partiti comunisti facciano un fronte comune alle amministrative può essere un’idea. Ma il tempo per la sinistra non è molto.

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