Le primarie più noiose di sempre: Renzi si riprende un Pd che somiglia a Forza Italia

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di Vindice Lecis

Le primarie più noiose di sempre, dove era assente la dialettica politica sostituita dal personalismo padronale e dalla iattanza irridente dei capi bastone, hanno sancito che il Pd è diventato un partito personale. Poco conta che ci sia stata la diserzione di un terzo di votanti rispetto alle ultime primarie del 2013, quelle che videro la vittoria di Renzi sui deboli Cuperlo e Civati. Ciò che conta – e deve diventare oggetto di analisi – che nulla ha importato a questi supporters fanatizzati di Renzi il rosario di sconfitte e di disastri che ha lastricato la strada del loro amato leader.

E’ lungo quell’elenco: le batoste elettorali in Liguria, Roma, Torino e in una miriade di città che hanno preparato la madre di tutte le sconfitte, quella del referendum. Renzi e i suoi hanno incassato, non hanno riflettuto su quel netto pronunciamento del popolo italiano continuando invece come se nulla fosse. Se, ora, il Pd si affida nuovamente a un uomo che ha tentato di scardinare la Costituzione antifascista, ha distrutto i diritti dei lavoratori precarizzando il lavoro, sfasciando la scuola pubblica, aprendo allo scempio ambientale nei territori, mettendo in pericolo e quasi affossando il welfare sanitario e previdenziale, allora si può convenire che il Pd ha completato la sua trasformazione genetica. Come fece Craxi col Psi.

Il Pd renziano si può considerare a tutti gli effetti di centro destra, perfettamente omogeneo a Forza Italia”,ha detto il politologo Carlo Galli. Colpisce l’assoluta impermeabilità di molti dei suoi attuali aderenti, indifferenti a quante “cose di destra” abbia fatto Renzi, anche dal punto di vista della questione morale: come il caso Consip e tutta l’opacità che tramanda il giglio magico.

L’uscita delle componenti di sinistra, che ha fatto seguito alla ben più corposa scissione da parte degli elettori, aveva già segnalato che, temi centrali per una forza progressista, non avevano diritto di cittadinanza nel Pd. E le candidature di Orlando – complice di ogni scelta renziana – e tantomeno dell’intraducibile Emiliano, mai avrebbero potuto ribaltare la situazione. Dopo le primarie – dove in modo bizzarro il segretario del Pd è scelto da elettori di altri partiti – il quadro appare ancora più desolante e pericoloso.

Perché Renzi medita la rivincita con movenze e obiettivi di taglio autoritario. La discussione sulla crisi di governo è assolutamente poco interessante. Gentiloni è infatti la prosecuzione di Renzi con meno ardore narcististico. La voglia di rivincita è infatti contro quel Paese che gli ha voltato le spalle. Vuole costruire quella malsana palude dove destra e sinistra non esistono e dove mancano i pensieri di rinnovamento e le analisi sulle crisi, riducendo la politica a chiacchiera, immagine, mimetismo. Un partito per sua natura onnivoro e impermeabile alla società, privo di orizzonte di pensiero perché legato alle pulsioni pericolose del suo capo. Per dirla ancora con Galli, privo di “attitudine a capire da dove vengono i problemi, che è l’unica via per affrontarli”.

Mi hanno fatto tenerezza quanti sono andati a votare per Orlando, illudendosi di sovvertire un pronostico perché incapaci di capire che – per dirla con Marx – è la struttura a determinare l’essere sociale (tradotto: il Pd non è riformabile da nessuna anima bella). Molti di costoro erano da quelle parti perché mancava il posto tra i renziani. E’ stato ad esempio il caso sardo, dove le tre liste erano tutte per l’ex premier nella scelta del segretario regionale, un episodio paradossale di trasformismo mimetico unico al mondo.

E allora per una volta sono d’accodo con Cuperlo quando (Corsera del 30 aprile) paventa nientemeno che Renzi diventi il Macron italiano. Così dice il nostro ininfluente: “mandi a ramengo vent’anni di Ulivo e strappi le radici del Pd. Scende Bobbio e sale la finanza caritatevole”. Ma il suo partito ha scelto questo, se ne faccia una ragione: il Pd è l’arma del potere personale di Renzi.

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