Sassari e quelle due conferenze del Pci del 1974 e del 1978 che ci parlano della crisi di oggi

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di Vindice Lecis

Sassari, seconda metà del 1974. Il governo della città è retto da un sindaco democristiano, Sebastiano Virdis. Al referendum contro l’abrogazione della legge sul divorzio la città – che era stata monarchica e fortemente conservatrice e democristiana nel dopoguerra – aveva scelto però di voltare le spalle all’oscurantismo. E alle elezioni regionali i comunisti sassaresi avevano conquistato un notevole risultato. Trovandosi davanti spazi enormi di manovra, il Pci si candida come forza di governo della città, forte di una crescita di iscritti e di attività, in particolare in alcuni quartieri popolari.

Perché raccontiamo quella lontana stagione? Ora che primeggia il sistema notabilare, con partiti di impronta personalistica (da Berlusconi a Di Pietro, da Vendola a Grillo fino al crepuscolare Renzi) in luogo delle antiche forze politiche di massa, può avere un certo interesse ricordare per sommi capi come operavano e discutevano, anche impietosamente, i partiti. Visto lo stato della città di Sassari, può risultare un utile esercizio.

Ho davanti i documenti preparatori di due conferenze cittadine del Pci sassarese. Conferenze che si svolsero in momenti diversi della storia cittadina: la prima si tenne il 14 e il 15 dicembre 1974 – appunto all’indomani della vittoria del No al referendum e all’avanzata della sinistra alle Regionali – La seconda il 14-16 aprile 1978 quando Comune e Provincia di Sassari, per la prima volta, erano governati da giunte laiche e di sinistra.

La conferenza del 1974. L’ordine del giorno recita: Il rinnovamento e l’adeguamento delle strutture del partito a Sassari. Per un nuovo sviluppo economico e sociale della città. Per una svolta democratica che garantista un ruolo nuovo degli enti locali nell’autonomia regionale (ordine del giorno impegnativo se si pensa ai tweet odierni). La precedenza conferenza si era svolta nel 1972 in un contesto di generalizzata svolta a destra e di crescita del neofascismo. Due anni dopo il Pci interroga se stesso, senza sconti.

Nel documento si rileva la ripresa politica del partito, confermata “dal costante aumento degli iscritti in tutte le sezioni della città, dell’aumentato numero delle sezioni stesse che da 4 sono diventate 9” (era dal dopoguerra che il Pci non cresceva in modo così rapido). Ma questo non basta e si apre perciò la questione della conquista del governo cittadino con la necessaria intesa con altre forze. Nel documento, non a caso, si propone un “adeguamento della linea politica” rifacendosi ai dati referendari e delle elezioni regionali che “indicano mutamenti nei rapporti di forza tra le forze politiche cittadine ma anche mutamenti rilevanti nella collocazione politica di forze sociali importanti nella vita cittadina”. Il Pci – guidato dal segretario Salvatore Lorelli – pur restando un partito prevalentemente operaio e bracciantile guarda dunque ai ceti medi dove sono “evidenti i segni della delusione politica e morale di passate esperienze e la ricerca di nuove identità e nuovi valori”.

Il Pci descrive una città che cambia e che guarda a sinistra. Ne sono la prova, si legge nel documento, l’avanzata elettorale del partito, la sconfitta della Dc e il crollo del Msi. E perciò bisogna “riflettere sui rapporti che con numerosa parte della popolazione hanno la Dc, il Psdi e il Msi”. Partiti che a Sassari hanno basi di massa e presa sui ceti popolari.

Interessante appare l’esortazione ai quadri e ai militanti ad abbandonare un certo pressapochismo: “Su questi partiti la cui collocazione politica è così differente, l’analisi e l’approfondimento sono stati fin’ora troppo superficiali: bisogna uscire da sbrigative formule socio politiche con le quali ci siamo liberati di un discorso che doveva essere invece diverso”. Pertanto “sia a livello cittadino, ma anche a livello di quartieri, nei luoghi di lavoro, di organismi di massa, vanno verificati i legami tra le diverse forze sociali e questi partiti”.

Anche il Pci sassarese dunque, nel solco del metodo togliattiano e dentro le novità della segreteria Berlinguer insiste in un’analisi non liquidatoria della realtà. “Se puntiamo a un mutamento dei rapporti politici – si legge nel documento – nella massima assise pubblica locale, cioè il Comune, dobbiamo avere coscienza che ciò sarà raggiunto se anche nei quartieri, nei posti di lavoro questi mutamenti saranno raggiunti”. Con questo metodo, comunque rigoroso e non propagandistico, si esorta il partito a scoprire “limiti che vanno rapidamente superati”.

Candidandosi ad essere forza di governo, i comunisti analizzano lo stato dell’economia sassarese “che alla fine degli anni 50 ha avuto forse la sua fase più drammatica con la chiusura delle miniere dell’Argentiera e di Canaglia”. Con la Dc “che ha risposto con la politica dei poli di sviluppo aprendo in tal modo al monopolio petrolchimico e subordinando ad esso tutte le scelte future in una frenetica quanto irresponsabile proliferazione di intraprese economiche che niente di duraturo potevano garantire in quanto del tutto scollegata alle risorse locali, al loro potenziamento, al loro sviluppo”. Una politica di incentivi e di contributi diventati “vergognoso strumento di sottogoverno sul quale si sono costruite le fortune elettorali di esponenti locali e periferici della Dc”.

Critiche alla Dc e al centro-sinistra perché hanno permesso “che la mano della Sir potesse condizionare in città iniziative e settori assai importanti per la collettività (informazione, La Nuova Sardegna, Università)”. Inoltre viene fotografata la situazione complessiva della città con toni assai severi. Il Comune “utilizzato a fini di carrierismo personale di questo o quell’esponente Dc”; i quartieri popolari “abbandonati a se stessi”; il territorio comunale “oggetto di massicce speculazioni edilizie” con uno sviluppo urbanistico avvenuto “in maniera caotica, improvvisato, al di fuori di una seria programmazione”. Nei quartieri popolari sono state abbandonate “tutte quelle attività produttive… fonte rilevante di occupazione e di sviluppo”. Serve “un nuovo piano regolatore” , il sostegno alla piccola impresa, il rilancio agricolo con le industrie di trasformazione”. Vengono rilanciati i comitati di quartiere “l’unica esperienza politica di base, popolare e democratica” esistenti a Sassari.

La proposta comunista a tutte le forze politiche di “nuovi e diversi rapporti” non presuppone perciò l’ingresso immediato nella giunta o diventarne “consulenti privilegiati”. E’ un appello al confronto nella rispettiva collocazione puntando in prospettiva “al mutamento degli attuali rapporti” politici e dando attenzione “alla crescita del movimento di lotta”. Il Pci propone “lo sviluppo di iniziative unitarie” ma ponendosi come elemento di “fermezza politica e guida sicura della lotta”.

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Quattro anni dopo, tutto è cambiato. Il Pci governa la città e la Provincia con le altre forze di sinistra, laiche e sardiste. Di questo discute nella successiva conferenza cittadina, la III, convocata per il 15-16 aprile 1978. L’ordine del giorno cambia ed è profondamente segnato dalla solidarietà nazionale e dalla lotta al terrorismo: “Il ruolo dei comunisti per lo sviluppo dell’iniziativa unitaria, la difesa dell’ordine democratica e l’attuazione delle intese politiche e programmatiche”.

A Sassari il trend elettorale del Pci fino a quel momento era in forte crescita: alle regionali del 1969 aveva ottenuto 6708 voti e il 13,4%; alle provinciali del 1970, 7739 voti col 15,3%; nelle politiche del 1972, 11.062 voti col 19,4%; nelle Regionali del 1974, 11.732 voti pari al 20,7%; nelle provinciali del 1975 16.350 voti col 25,89%; nelle politiche del 1976 il boom con 19.645 voti pari al 29%.

Il Pci governa città e Provincia con maggioranze di sinistra e autonomistiche ma si pone il problema di un migliore radicamento del partito reduce da una trentennale – e anche aspra – opposizione. Sassari vive la crisi del colosso petrolchimico e delle industria manifatturiere collegate e viene definita severamente “città dormitorio”. A patto che, superando la monocultura petrolchimica non riesca a individuare una nuova strada (sviluppo della Nurra, edilizia, piccola impresa artigiana, orticultura suburbana, turismo, decollo delle aree di Predda Niedda e Truncu Reale). Ma un governo di sinistra si pone anche problemi nuovi che il Pci comincia a individuare: viabilità, verde pubblico, asili nido, consultorio, biblioteca, mercati rionali, palestre.

Con il 25% alle comunali e 13 consiglieri, i comunisti sono il secondo partito cittadino e azionisti di maggioranza della coalizione di sinistra (con Psi, Psdi, Pri, Psd’Az) che governa da tre anni a causa dell’autoesclusione della Dc. Ma nel 1978 serve già dare una scossa. E il Pci indica quattro punti di fine legislatura: “aprire maggiormente il Comune alla cittadinanza, alla partecipazione popolare ed andare alla costituzione dei comitati di quartiere prima della prossima estate; conclusione del piano regolatore; ristrutturazione dei servizi; il segno di un intervento diverso e più puntuale nei quartieri popolari”. Sostegno alla giunta dunque ma anche riaffermazione del profilo autonomo del partito.

Con non poche notazioni critiche. Ad esempio, si legge che “il partito in città ha svolto la sua iniziativa con particolare attenzione alla politica amministrativa del Comune, non cogliendo così a pieno il cambiamento complessivo derivato dal risultato elettorale, dalla assunzione di responsabilità diretta di Giunta e non cogliendo pienamente il significato della politica delle intese quale politica di partecipazione dal basso alla gestione della cosa pubblica”.

Il giudizio è severissimo. “Si è creata una condizione di privilegio all’azione politica nell’amministrazione comunale, accettando di fatto che nel Partito e tra la gente si creasse la convinzione che la presenza dei comunisti nella giunta era sufficiente” a risolvere i problemi con rapidità e ad attuare i programmi. Problemi si riflettono nel ruolo delle sezioni, meno dinamiche di prima e con qualche problema nel tesseramento.

Queste note sono la ricostruzione di un’epoca lontana ma non lontanissima. Molti dei problemi di Sassari sono rimasti tali e quali e, anzi, per molti versi la situazione è peggiorata. Ai partiti di massa si sono sostituite aggregazioni guidate da notabili e grumi di interessi correntizi. La sinistra – ciò che resta, ciò che sta rinascendo – cerchi di avere memoria se vuole guardare al futuro. E lasci infantilismi  movimentisti nel cassetto.

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