A Sassari c’è un regime? Cosa c’è dietro una crisi dai contorni oscuri che dura da tre anni

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di Vindice Lecis

Forse Nicola Sanna, sindaco Pd di Sassari dal 2014, di questi tempi sta leggendo un gustoso libro di Giulio Andreotti edito da Rizzoli 27 anni fa e intitolato Il potere logora… ma è meglio non perderlo. Perché da quella lettura il sindaco sta certamente traendo ispirazione nell’estenuante braccio di ferro sulle rovine fumanti di Sassari. Solo affrontando il nodo del potere da mantenere a tutti i costi, si può infatti leggere la surreale e, a tratti, grottesca vicenda politica sassarese dove una crisi politica dura esattamente da quando Sanna è stato eletto: vale a dire, tre anni abbondanti.

Sanna è oggi un uomo solo. Ha dilapidato un patrimonio di consenso enorme, figlio sia della nebulosa formula del larghissimo centro-sinistra (ora morto, sepolto, decomposto) che della carica di novità da lui stesso rappresentata. Non che fosse un uomo nuovo, ma la città voleva girare pagina rispetto alla lunga ed esaurita era Ganau senza però scegliere le sirene di una destra senza grandi personalità o del grillismo.

E’ possibile che molte dimissioni dalla sua giunta siano spinte da quella che in psichiatria si chiama sindrome rancorosa del beneficiato, ma non sarebbe giusto o corretto verso valorosi assessori: alcuni avevano la scadenza, altri se ne sono andati sbattendo la porta. Sanna ha avuto defezioni da destra e da sinistra. Bisogna ora riportare la lettura della crisi infinita a una valutazione di tipo politico per tentare di capire i contorni di questa paradossale situazione.

Lo scontro, è bene dirlo una volta per tutte, ha contorni oscuri. La crisi ha tratti di tenace opacità. Nasce da quella melassa indigesta e vischiosa che è il sistema di potere costruito dal Pd in questi anni che ha prodotto clientele, familismo, fragilità culturale dei gruppi dirigenti, sovrapposizione tra partito e istituzioni. C’è il caos sanità? Se ne discute nel comitato regionale del partito. Il partito vuole dare il via libera a nuovo cemento sulle coste? Che diamine, lo risolviamo nel Pd dove c’è il redivivo Soru (smemorati e illusi coloro che sostengono il teorizzatore della comunità di destino, dell’inutilità dell’antifascismo e del Sì al referendum) a esporsi. Il Pd è tutto e il contrario di tutto: maggioranza e opposizione, decantazione di interessi contrapposti, fucina di nomine. Quattro o cinque capi bastone si incontrano, fanno finta di litigare e poi sfornano l’accordo.

A Sassari questo è accaduto, ma solo in parte può spiegare la crisi politica e di valori così profonda. La città è in ginocchio e non ha più anticorpi, vittima del plebeismo sguaiato di una politica che ha smarrito la via maestra, che non programma, che non conosce, che rifiuta lo studio. Incline al piccolo cabotaggio, all’accomodamento al ribasso, alla sudditanza verso la scintillante Cagliari del furbissimo Zedda a tratti irridente con il Capo di Sopra (Massimino mancato senatore, nessuno a Sassari lo ha dimenticato). E dove c’è il sospetto che comandino sempre gruppi occulti.

La fine del petrolchimico ha lasciato il territorio in difficoltà. E la città non ha saputo proseguire nella strada della piccola impresa di trasformazione o dei servizi di qualità: si è affidata alla degradante Predda Niedda, un non luogo, alla proliferazione dei grandi supermercati, ha accettato lo svuotamento del centro storico che ha ceduto al degrado umano e sociale.

Sanna è una brava e onesta persona. Ma doveva dimettersi tre anni fa, quando i visigoti bussavano con insistenza alla sua porta con un elenco di richieste. Doveva chiamare allora i sassaresi a raccolta in piazza del Comune per spiegare chi erano i nemici, coloro che bloccavano ogni idea di sviluppo e di autonomia. Invece il sindaco – ricco di grande considerazione di sé – ha alternato audaci alzate di testa con accordi al massimo ribasso. Il risultato è stato l’allentamento con la realtà e atteggiamenti podestarili (da podestà).

Per questo la città deve sapere che il suo nemico è il Pd. E Sanna deve saper trarre le conseguenze di questo degrado: lasciare lo scranno più alto, dedicarsi ad altro, e consentire alla città di andare prima possibile a nuove elezioni. Chiamando per nome i suoi veri nemici. E’ inaccettabile che un grumo di potere – ampio, articolato, diffuso e feroce – possa paralizzare l’attività amministrativa e allo stesso tempo governare tutti i gangli della vita cittadina.

A Sassari c’è infatti qualcosa di malsano che assomiglia a un regime. Anzi a un regimetto. Cambiare sarà molto difficile se anche la sinistra con le sue magre articolazioni non sceglierà programmi alternativi invece che baloccarsi con altro. Ma si sa, meglio parlare come i vescovi e i teologi al Concilio di Nicea che voler davvero candidarsi a governare la città.

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