Togliatti e la Giraffa, le vie originali e l’eredità di questo padre costituente

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di Vindice Lecis

In una relazione tenuta ad un seminario nell’ottobre 1983, lo storico comunista Paolo Spriano parlando di Palmiro Togliatti spiegò come “egli aveva tratti singolari all’interno del movimento comunista. Tratti singolari perché assommava in sé la figura, la struttura di dirigente politico, di capo di massa e di grande intellettuale, nella storia d’Italia”. Vale anche la pena ricordare ciò che scrisse lo scrittore Elio Vittorini, che con il capo del Pci ebbe duri scontri, quando riconobbe che “ se c’è democrazia in Italia molto lo si deve al Partito comunista italiano, e se il Pci ha dato molto alla democrazia italiana il merito principale spetta a Togliatti”. Il Pci venne, proprio dal Migliore, definito una giraffa, un animale che secondo gli zoologi non avrebbe motivo di esistere,  mentre allora  esisteva ed era ben in salute.

Nell’anniversario della sua scomparsa, avvenuta a Jalta (in Crimea, allora Unione Sovietica) il 21 agosto 1964 si avverte un maggiore interesse per la figura e il ruolo di Palmiro Togliatti, sempre meno collegato alla leggenda nera che gli è stata affibbiata da avversari politici e storici di varia osservanza (quelli liberal i più dozzinali), spesso figli del pregiudizio e formatisi in un revisionismo senza ricerca.

La sua personalità è infatti ricca e complessa e la sua azione politica – dalla formazione torinese all’esperienza nell’Internazionale, dalle lezioni sul fascismo alla clandestinità, dalla costruzione del partito nuovo e della via italiana al socialismo sino al memoriale di Jalta e l’intervista a Nuovi Argomenti – ha attraversato una gran parte del Novecento. Legando il suo nome alle dinamiche internazionali e a quelle più propriamente nazionali, consentendo al Pci di diventare un partito originale e fortemente radicato nella realtà italiana (la giraffa, appunto). Tuttavia, ricordò ancora Spriano in quelle lezioni romane di 34 anni fa, è bene applicare a Togliatti quello che lui stesso consigliò in un suo famoso scritto dedicato a De Gasperi (Rinascita nel 1955): “è soltanto dalla visione precisa dello sviluppo di una personalità, della sua persona e dei contrasti cui egli fu legato in se stesso e fuori di sé, che può sorgere una impressione di originalità e profondità del suo pensiero, e di grandezza della esecuzione”. Avvertendo che solo in questo modo, da una parte si evita di attribuire a Togliatti “uno sviluppo nella elaborazione del partito che è di un tempo successivo” e dall’altra “di non vedere tutti i germi che di questa elaborazione erano già in Togliatti, e di non vedere neppure come la figura di Togliatti, la considerazione sulla sua opera sia oggi un terreno di controversia ideale e politica”.

Una cesura periodizzante tra il Togliatti della fondazione del Pci, della clandestinità e dell’esperienza lunga di segretario dell’Internazionale dal 1934 al 1943 con quello del periodo 1944-1964 è improponibile. Perché germi del primo Togliatti (penso alle Lezioni sul Fascismo impartite negli Anni Trenta che hanno segnato l’analisi sul movimento reazionario di massa ma anche alla concordia-discorde con Gramsci) sono presenti fortemente nel secondo. Ma nella seconda fase, nella concreta pratica e nella elaborazione, emerge il Togliatti della via italiana che aprì la strada allo sviluppo seguente del Pci di Longo e specialmente di Berlinguer.

E’ stato analizzato il Togliatti del ventennio “italiano”, sin da quando sbarca a Napoli nel 1944. Era già allora un uomo che veniva da lontano quello che impose la svolta politica al partito comunista che usciva dalla clandestinità ed era già la spina dorsale della resistenza armata al fascismo. La svolta di Salerno appunto, ebbe carattere tattico e sbloccò la collaborazione tra i partiti antifascisti dando avvio alla grande alleanza che impose agli Alleati la necessità che il popolo italiano (Italia paese vinto, diceva appunto Togliatti) potesse riscattarsi.

Ma quella svolta ebbe anche un carattere strategico consentendo al Pci (401 mila iscritti nel 1944 e 1 milione 770 mila nel dicembre dell’anno dopo, sino ai 2 milioni 252 mila del settembre 1947) di diventare una forza nazionale capace di pesare nelle fasi immediate (unità antifascista e guerra armata al fascismo) e in quelle successive (riconquista della libertà, Costituente, Repubblica e Costituzione). E’ da allora che Togliatti esclude la “rivoluzione socialista” dall’orizzonte del Pci guidandolo invece verso la lotta per la democrazia progressiva base di un grande rinnovamento democratico.

Il Pci di Togliatti diventò abbastanza rapidamente un grande partito nazionale e di massa. I dati elettorali confermano la crescente presa sulla società italiana: 19% nelle elezioni del 1946, 22,7% nel 1953, 22,8 nel 1958, 25,3 nel 1963. Con un partito saldo organizzativamente (nel 1964 anno della morte di Togliatti gli iscritti erano comunque 1.641.214, in decremento rispetto alla poderosa macchina da due milioni di aderenti del decennio 1946-1956 comunque con un rapporto di un iscritto ogni tre elettori) innervato nella democrazia italiana. La storia dell’Italia repubblicana è segnata fortemente dall’azione del Pci. Nel periodo della segreteria Togliatti quel ruolo è fortemente caratterizzato da alcune vicende fondamentali: la rottura dell’unità antifascista del 1947 e la conseguente nascita del centrismo democristiano figlio della guerra fredda, la repressione anticomunista e anti operaia che ne seguì ( oltre sessanta uccisioni di lavoratori da parte delle forze dell’ordine, discriminazioni, emarginazioni), l’avvio del centro sinistra e l’emergere di una certa attenzione sul capitalismo di stato, la morte di Stalin e il XX congresso del Pcus. Via italiana al socialismo, democrazia progressiva, riforme di struttura, teorizzazione di conquiste parziali e, dunque, concezione della rivoluzione come un processo caratterizzeranno l’opera di Togliatti. Unito a un rapporto dialettico, se non a volte critico, verso il campo socialista, pur senza ipotizzarne uscite o defezioni.

Chi parla ancora di doppiezza dovrebbe ricordare che fu lo stesso Togliatti a criticarla e a sradicarla dal Pci, resistendo in effetti in una parte del partito. “Persisteva la concezione – ha spiegato Luciano Gruppi – della lotta per la democrazia come di una piattaforma tattica dietro la quale prepararsi ad un rapido mutamento di obiettivo e di metodo di lotta. Non era certo questa la visione di Togliatti che concepì la lotta per la democrazia e la Costituzione come un obiettivo strategico, destinato a guidare per un lungo periodo la vita del nostro Paese”.

Ha notato Giovanni Gozzini nel volume Togliatti e la democrazia italiana (Editori Riuniti, 2017) che nel “lessico delle scienze politiche la tenuta comunista in Italia rappresenta così un caso di riuscita istituzionalizzazione in un contesto nazionale e internazionale tutt’altro che facile”. Aggiungendo che quel partito era figlio di una cultura storicista “che concepisce i partiti come strumento di inserzione delle masse popolari dentro lo stato”.

In tempi di svuotamento della democrazia, di attacco della Costituzione, di disfacimento degli Stati nazionali a favore di entità finanziarie non democratiche, molto di Togliatti deve essere portato nella valigia dell’eterno viaggiatore (astenersi turisti liberal per favore) della sinistra. Bene ha fatto dunque Alex Hobel (curatore del già citato Togliatti e la democrazia italiana) a ricordare una considerazione del Migliore a un comitato centrale del 1956. “Di qui l’affermazione che il metodo democratico, nella lotta per il socialismo … acquisti oggi quel rilievo che nel passato non poté sempre avere. Si possono cioè ottenere determinati e grandi risultati nella marcia verso il socialismo senza abbandonare questo metodo democratico, seguendo vie diverse da quelle che sono state battute e quasi obbligatorie nel passato, evitando le rotture e le asprezze che allora furono necessarie”.

Ps. In conclusione mi chiedo come e se sarà possibile riedificare la sinistra dopo averne picconato e demolito la storia e i fondamenti teorici – Gramsci e Togliatti primi fra tutti – e aver sbianchettato la storia del Pci al punto da porre in ombra la possibilità stessa della trasformazione del paese in senso democratico. Qualcuno però ci prova, con coraggio. Non si tratta di difendere una continuità priva di rotture, ma il contributo di Togliatti resta fondamentale. Purtroppo anni di piddismo e anche di velleitarismo, hanno posto le condizioni per l’emergere del renzismo e di una sinistra altra cosa da sé. Ci attende una lunga camminata nel deserto. L’acqua è scarsa e molti pozzi sono stati avvelenati.

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