La Sinistra di Grasso, i comunisti e il Brancaccio: le strade diverse per l’alternativa al Pd

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di Vindice Lecis

Il bluff dell’esploratore Piero Fassino si è già dissolto di fronte ai fatti che, come è noto, sono testardi. Il Pd sta boicottando in Parlamento la proposta di Mdp-Si di reintrodurre l’Articolo 18 originario, anzi estendendolo, nello Statuto dei lavoratori. Tema che le formazioni alla sinistra del Pd ponevano come pregiudiziale per avviare almeno un confronto. Bluff polverizzato da una ridicola controproposta (aumentare gli indennizzi ai lavoratori licenziati!) proprio mentre Renzi volava dal presidente francese Macron, l’uomo che ha fatto approvare tra le proteste la Loi travail, una specie di jobs act con le stesse finalità che piacciono alla Trojka: ridurre i contratti a tempo indeterminato a vantaggio di quelli precari e temporanei, indebolire i diritti e facilitare i licenziamenti.

Con questo atteggiamento di chiusura, Renzi e il suo Pd hanno dimostrato che le loro aperture erano dettate solo dal terrore di vedere dimezzati i loro deputati e i senatori. Lavoravano infatti per costruire semplici liste civetta, collaborazioniste. Tuttavia l’ammuina del Pd ha anche tolto le castagne dal fuoco alla formazione riformista che nascerà il 2 dicembre e che incoronerà il presidente del Senato Pietro Grasso come leader. Attorno alla nuova aggregazione, il Pd terrorizzato sta cercando di fare terra bruciata. Utilizzando il solito e incomprensibile pendolo prodiano e con l’arruolamento di Pisapia, Alfano, liberali di destra ex montiani e, forse, anche i radicali (una coalizione che al confronto il presidente di Confindustria appare un rivoluzionario). Troppo poco per poter parlare di Nuovo Ulivo, di centro sinistra largo e innovativo.

A spingere per un’intesa che avrebbe salvato Renzi e assolto le sue politiche di questi anni è stato, in particolare, il quotidiano la Repubblica. Che ha appoggiato il disegno della rinascita del centro sinistra visto unicamente come argine ai populismi di destra. Ma senza un rigo di autocritica per la stagione renziana e di quella precedente dove il Pd, manco a dirlo, governava: jobs act, buona scuola, salva Italia, riduzione dei confini dell’intervento pubblico, legge Fornero, norme salva evasori e altre nefandezze. Pur di non parlare di questi disastri sociali e dell’impoverimento di un Paese allo stremo, si è scelto come cardine del programma lo ius soli e il biotestamento.

Non sono bastati neppure gli accorati e un po’ isterici appelli di Veltroni. L’ex sindaco di Roma ed ex segretario dei Ds in un crescendo di interviste, dichiarazioni, consigli, vede solo “regolamenti di conti” all’origine della rottura. E non, invece, i danni provocati dalle scelte del governo, il suo finto bipolarismo, la stessa nascita del Pd a vocazione maggioritaria e l’equisdistanza, o meglio, l’appoggio ai padroni rispetto ai lavoratori e alle classi subalterne.

Dunque la lista alla sinistra del Pd si farà con Grasso come leader. Il programma è molto bersaniano, un ragionevole riformismo non esattamente radicale e nemmeno chiarissimo dal punto di vista del futuro governo. Anche sull’Europa quel programma non consente grandi attese, prigioniero ancora di un’ideologia dominante fatta propria dai socialisti europei. Tuttavia è già qualcosa che si muove.

Ma dalla sinistra “borghese” hanno fatto defezione “quelli del Brancaccio”. Fieramente antagonisti al Pd sono stati “fregati” da una duplice tenaglia. Fratoianni, Speranza e Civati li hanno messi di fronte al fatto compiuto sul programma e sulla nascita dell’alleanza elettorale, lasciandoli così alla deriva. A quel punto, Rifondazione comunista – divisa da molteplici anime – ha tentato di “scalare” il Brancaccio costringendo così Montanari e la Falcone a spegnere la luce.

Acerbo e i suoi si sono, senza accorgersene, trovati fuori dell’intesa della sinistra parlamentare ma anche senza più il Brancaccio. Dopo questo capolavoro tattico, si sono dunque orientati – con un documento della loro direzione – verso la costituzione di una lista alternativa. Una linea che i cugini del Partito comunista italiano stanno perseguendo da qualche tempo. Il Pci guidato da Mauro Alboresi è, infatti, tra i promotori del movimento Eurostop che – benché oscurato dalla grande stampa – ha portato qualche decina di migliaia di persone in piazza a Roma.

Eurostop è una delle basi del programma che il Pci sta sviluppando: tre no, all’euro, all’Europa e alla Nato, unitamente a una forte radicalità verso le scelte dei governi sull’austerità. L’idea – a questo punto sembra anche quella di Rifondazione comunista – è quella di costruire una lista per le prossime politiche, collegandosi alle lotte e alle mobilitazioni sociali di questi mesi e ai movimenti che stanno nascendo. Non una lista “estremista” ma comunista e fortemente radicale nei contenuti.  Vedremo che accadrà anche da quelle parti.

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