L’Italia e la minaccia terroristica: come i jihadisti reclutano militanti, si finanziano e trafficano in esseri umani

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di Vindice Lecis

Dall’imam radicale marocchino di Perugia che incitava a colpire i non musulmani, alla donna egiziana radicalizzata on line, fino all’algerino jihadista espulso dal Belgio e rientrato in Italia approdando clandestinamente sulle coste sarde. Sono soltanto alcune delle 105 persone espulse nel 2017 dalle autorità italiane con l’accusa di organizzazione terroristica. Non dobbiamo compiere pertanto, l’errore di ritenere l’Italia immune dal virus del contagio jihadista.

“La minaccia terroristica – si legge infatti nella Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza presentata al Parlamento dai nostri servizi di intelligence – resta attuale e concreta, non soltanto in ragione del ruolo di rilievo che il nostro Paese da sempre occupa nell’immaginario jihadista, ma anche per la presenza sul territorio nazionale di soggetti radicalizzati o comunque esposti a processi di radicalizzazione”.

Non mancano infatti gli episodi terroristici legati a personaggi formatisi in Italia: decisamente emblematici i casi dell’italo-marocchino che ha fatto parte del commando responsabile degli attacchi di Londra del 3 giugno e dell’italo-tunisino artefice, il 18 maggio, dell’attacco armato a un soldato alla stazione di Milano.

Qual è dunque la situazione reale? Secondo i nostri servizi di informazione, è emersa nel 2017 “la centralità assoluta della minaccia jihadista nell’agenda della sicurezza”. Nonostante il terrorismo appaia sulla difensiva o in ritirata, resta infatti “ancora attivo, intraprendente e decisamente pericoloso, caratterizzato da una certa tendenza alla polverizzazione dei centri di comando”. Daesh (il sedicente Stato islamico) ricopre ancora il ruolo di protagonista in concorrenza con al Qaeda. Ma mentre Daesh “appare attestato nella difesa a oltranza delle residue roccaforti”, i competitori di al Qaeda hanno impostato “una strategia di lungo periodo che punta all’infiltrazione e al consenso delle popolazioni locali”. Tuttavia Daesh “è in grado di colpire l’Occidente e in particolare l’Europa con attacchi complessi ad opera di cellule ben addestrate”. Al Qaeda invece è una persistente minaccia “vitale e determinata” in Pakistan, Afghanistan, nel Magreb, nel Sahel, nella penisola arabica. nel Corno d’Africa e in Siria con le organizzazioni “ribelli” anti Assad.

L’Europa rimane l’obiettivo principale e il 2017 lo ha confermato, mostrando “quanto insidiosi fossero i reiterati appelli all’azione rivolti ai lupi solitari”. Per i più smemorati è bene ricordare i veicoli lanciati contro pedoni inermi e gli assalti con armi bianche e da fuoco o con ordigni artigianali che hanno provocato molte vittime. Gli attacchi di Barcellona e Lambrus in agosto, ad esempio, sono stati realizzati da una “cellula coesa di 10 individui legati da vincoli parentali”. Nel 2017 sono state compiute 5 azioni terroristiche nel Regno Unito, 2 in Belgio, 7 in Francia e una rispettivamente in Spagna, Germania, Svezia e Finlandia.

Al ridimensionamento territoriale di Daesh comunque “non è corrisposto un rientro in massa di ex combattenti nei paesi di provenienza”. Dove si recano dunque questi soldati del terrore in fuga? Il ripiegamento di militanti avviene in alcune zone del Nord Africa, dell’Asia centrale, del Caucaso e dell’Indonesia. Ma resta alta l’attenzione su quanto avviene nei Balcani, diventati “una sorta di hub per il reclutamento al jihad e per il supporto logistico di aspiranti combattenti e returnees“.

Torniamo alla situazione italiana. Non si sono registrate nel 2017 nuove partenze per il versante siro-iracheno ma i cosiddetti foreign-fighters “italiani” sono 127. Resta comunque alto “il livello della minaccia diffusa e puntiforme, e perciò stesso tanto più imprevedibile”. E’ bene dunque non sottovalutare l’attenzione dei registi del terrore contro l’Italia, investita dall’attività propagandistica ostile di Daesh, che alimenta la radicalizzazione on line, determinando “una pressione di natura istigatoria che ha continuato a coniugarsi con l’attivismo di islamonauti italofoni e di italiani radicalizzati impegnati a diversi livelli”.

La realtà del radicalismo islamico è molto complessa e trova alimento “oltre che negli ambienti virtuali del web e nel contesto di circuiti parentali-relazionali di difficile penetrazione, anche in centri di aggregazione” grazie agli imam estremisti e nelle carceri, il peggior terreno di coltura del virus jihadista.

Per l’Italia siamo in presenza di una minaccia multiforme, atomizzata e sfuggente. La descrizione fatta dalla nostra intelligence desta più di una preoccupazione se non vero allarme. Tra i 105 espulsi, 34 sono tunisini, 32 marocchini, 10 egiziani, 6 albanesi, 5 pakistani, 5 kosovari e 3 algerini. Le loro responsabilità sono state definite dall’autorità investigativa. Numerosi gli arresti di persone legate all’islam radicale. Da ricordare: a Venezia il 30 marzo, tre ceceni che volevano colpire il Ponte di Rialto; il 5 luglio a Foggia un russo ceceno, imam del centro islamico, veterano del fronte siriano istigava al jihad armato; il 7 ottobre un tunisino, fratello dell’omicida di due donne a Marsiglia; il 19 dicembre a Genova un marocchino ritenuto militante di Daesh; il 23 dicembre a Malpensa un’italo marocchina appena rientrata dalla Sioria, una cosiddetta sposa jihadista.

Il terrorismo si alimenta con un composito ventaglio di canali di finanziamento. La sua dimensione sovranzionale spesso però rende difficile definirne le provenienze. Si possono individuare alcuni canali. Quello delle donazioni private e delle associazioni caritatevoli islamiche anzitutto, forme capillari e invasive. Nelle aree controllate si attua la requisizione di beni pubblici e privati, si impongono tributi sulle attività economiche e gestendo direttamente traffici illeciti come quello sui prodotti petroliferi; nei territori di proiezione, invece si utlizzano le strutture legali come i centri servizi utilizzati per la mobilità e il trasferimento di militanti. Le rimesse di denaro avvengono in molti modi, ma quello più efficente è legato all’uso di sistemi pseudo bancari (Ivis, informal value transfer systems). Si basa su transazioni effettuate da società di servizi e agenzie di cambio. Che si affiancano al tradizionale sistema sulla fiducia detto hawala.

Il fenomeno migratorio è costantente analizzato e controllato per le sue molteplici implicazioni. La nostra intelligence lo definisce “fenomeno strutturale” che va gestito con una strategia “a lungo periodo e a tutto tondo” su queste direttrici: la solidale risposta dei paesi di destinazione; il sostegno ai paesi di provenienza; il coinvolgimento dei paesi di transito; il deciso contrasto dei sodalizi e dei network criminali “che sfruttano le perduranti diseguaglianze socio economiche trasformando i migranti/profughi in oggetti di traffico e tratta”.

In questo contesto, l’attenzione è concentrata sulla gestione criminale dei migranti “convogliati alla stregua di merci su circuiti illegali utilizzabili anche per movimentare estremisti e returnees. Un pericolo, questo, particolarmente concreto per le rotte che attraversano il Continente africano”. Quelle dell’immigrazione illegale sono le direttrici logistiche di collegamento tra le aree di penetrazione e insediamento del terrorismo confessionale con la Ue, che rappresenta l’obiettivo principale del jihadismo. Per i nostri Servizi il problema non sta solo nell’infiltrazione di terroristi tra i migranti, ma piuttosto “nell’ottica di sfruttare in seguito – a fini di radicalizzazione – le pressochè scontate situzioni di disagio in cui è destinata a versare una parte degli stessi migranti”.

In Italia sono sbarcati 153.842 individui nel 2015, 181.436 nel 2016 e 119.369 lo scorso anno. Dati imponenti. La diminuzione degli arrivi nel 2017 deriva dall’azione delle autorità libiche nel contrasto delle attività delle reti dei trafficanti, spiegano i nostri servizi di intelligence. Ma la flessione non è un’inversione di tendenza strutturale, a causa della flessibilità e della capacità di adattamento dei network criminali che sono ramificati e regionali. Il business dei migranti dalla Libia è gestito “da reti criminali con basi e strutture logistiche perfettamente organizzate”. Nel corso dello scorso anno sono state registrate 173 partenze dall’Algeria, 933 dalla Libia, 271 dalla Tunisia, 61 dalla Turchia, 10 dalla Grecia e 2 dall’Egitto. C’è stata una netta prevalenza di nigeriani, il 15,21% del totale degli arrivi. Grande è inoltre l’incremento di arrivi dal Bangladesh.

Che si tratti di un fenomeno strutturale lo si capisce anche leggendo i dati Onu (2017, World popolation prospect): a metà 2017 la popolazione mondiale era di 7,6 miliardi, con una crescita di un miliardo di individui negli ultimi 12 anni. Gli abitanti del pianeta sono dislocati per il 59,7% in Asia, 16,6% in Africa, 9,8% in Europa, 8,6% nell’America Latina e Caraibi, 5,3% nel Nord America e Oceania. Da qui al 2050, il continente africano è destinato a crscere di 1,3 miliardi di persone, più del 50% del previsto incremento a livello globale (2,2 miliardi). Si stima che entro quella data la Nigeria diventerà il terzo Paese più popoloso del mondo.

Le mafie. Il loro obiettivo è l’ingerenza nei processi decisionali pubblici tramite un sistema corruttivo diffuso, funzionale all’infiltrazione nell’economia reale. Vengono monitorate con attenzione le grandi organizzazioni criminali e le loro azioni. La ‘ndrangheta, ad esempio, è giudicata in grado di perseguire “finalità affaristiche di rilievo” conservando in una dimensione globale il controllo delle sue attività in Calabria e non solo. I vuoti provocati dagli arresti, vengono rapidament colmati. E’ questa la diversità rispetto, ad esempio, a Cosa Nostra, la cui operatività è “appannata” dalla struttura verticistica che “ne riduce la capacità di reagire” per la ricerca continua di leadership. La camorra dimostra una “volatilità di assetti interni” mentre i casalesi sono sempre attivi, specialmente nel Nord e nel Centro d’Italia.

La criminalità straniera. Sotto esame la “duplice anima”, quella banditesca e quella paramafiosa. Con la prima si compiono reati predatori, si spaccia la droga a seconda della ripartizione territoriale su base etnica. Con la seconda, invece, la pronunciata vocazione criminale e affaristica consente la gestione dei traffici di esseri umani, di riciclaggio, “inquinando i circuiti economici e finanziari dell’associazionismo etnico”. L’organizzazione criminale più strutturata è quella nigeriana, specializzata in droga, traffico d’esseri umani, immigrazione clandestina e prostituzione. Oltre ai nigeriani esistono i sodalizi del Corno d’Africa (riciclaggio), le aggregazioni russofone (attività predatorie), le consorterie albanesi (droga), la criminalità cinese (reinvestimento di capitali) e le organizzazioni pakistane (droga, trasferimento di denaro, truffe informatiche).

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