di Vindice Lecis
Gian Franco Ganau sbarra la strada a Nicola Sanna. Il presidente del consiglio regionale (Pd) non ha gradito che l’attuale sindaco di Sassari (Pd) e suo successore nel 2014, si sia autoricandidato senza passare per caminetti o primarie. La tregua tra le correnti, di quello che è stato per anni il partito di maggioranza relativa e ora devastato dal voto, dopo alcuni mesi è stata rotta. Ora si prefigurano nuovi e clamorosi colpi di scena. Entrambi, sindaco e predecessore, hanno esternato dalla emittente televisiva sassarese Canale 12 (diretta da Sandra Sanna e dal suo vice Luca Foddai) rispondendo alle domande di Adriano Porqueddu.
Dunque sono cominciate le manovre di una nuova guerra intestina che potrebbe portare a uno scenario estremo ma non del tutto inedito: che alla candidatura di Nicola Sanna il Pd potrebbe opporre un suo candidato o di ciò che resta dell’esangue centro sinistra. Si fa il nome di Dolores Lai, già assessore comunale della giunta Ganau e attuale componente dello staff del presidente del consiglio regionale. Che avrebbe l’appoggio del Pd e del Partito dei Sardi.
La questione si preannuncia interessante per svariati motivi. Ma c’è da premettere che per il Pd, questa volta, la sfida è di quelle impossibili, visto che il M5S alle recenti elezioni politiche ha ottenuto uno strabiliante 42 e passa per cento di suffragi. Nel partito si stanno vivendo giorni paragonabili ai lividi e, spesso, inaspettati crepuscoli dei regimi che si credevano immortali.
A Sassari la politica fa parte (ha fatto parte, visto il deserto odierno) della nervatura e del carattere della città. Che ha fornito personalità e classi dirigenti nazionali e regionali in varie epoche, in gran parte espressione di una certa borghesia mercantile e delle professioni. Da tempo, svaniti i grandi partiti di massa sostituiti da grumi di notabilato svelto e furbo, la città ha perso vigore economico e produttivo e l’espressione delle sue classi dirigenti si è risolta nello sciatto quadro attuale. Figlia della mancanza di una visione del futuro, Sassari assomiglia sempre più, anche fisicamente, alla sua desolata zona industriale, al non luogo di Predda Niedda.
Ma la città è vittima anche del suo essersi generosamente concessa al Pd da troppo tempo. E’ proprio a Sassari che questo partito ha sperimentato la formula del partito-regime che tutto vede, tutto organizza e controlla. Il Pd guida ora il comune ma gestisce anche altri gangli decisivi come credito, sanità e ricerca. I suoi uomini sono disseminati nei sinedri del sottogoverno. Nella città dove non si produce nulla alligna invece la rigenerazione di una rendita parassitaria e autorefenziale che rende sterili le tensioni ideali e morali che dovrebbero essere invece l’ossatura delle classi dirigenti.
Deputati e consiglieri regionali e altri notabili hanno evidenziato un gigantesco limite politico, umano, progettuale. Impegnati come sono stati, in realtà, nella estenuante guerra di posizione delle correnti del Pd. “Il danno iniziale lo ha fatto lui” ha detto Ganau riferendosi a Nicola Sanna sulla primogenitura dello scontro tra il sindaco e gli altri. Che sono gli uomini della potente e ramificata corrente che fa capo ad Antonello Cabras, presidente della Fondazione di Sardegna. In gran parte, ma non solo, si tratta dei socialisti i sempiterni che colonizzarono la modesta navicella dei Ds. Una corrente che era ed è quasi tutto per il Pd sassarese, controllore di tessere, capace di far diventare la città più bersaniana in quella più renziana in poche ore.
Contro di loro – e contro il governo cittadino – si è scatenata però l’insoddisfazione dei cittadini. Referendum costituzionale ed elezioni politiche sono state la tomba del Pd, di tutto il Pd. Dirigenti geniali che si sarebbero dovuti mettere da parte e, invece, sembra non abbiano capito ciò che è capitato. Leggete le interviste post elettorali. Tutti questi dirigenti imputano alla scarsa comunicazione dei brillanti risultati dei governi regionali e nazionale la causa del disastro. Non una parola sulle cause del risentimento, della rabbia, della volontà di fare piazza pulita e che si è riversata nei 5 Stelle (anche da sinistra), non una parola sul jobs act, sulla buona scuola, sul salva Italia, sulla “riforma” costituzionale. Ora sono disperati e si agitano come falene impazzite attorno a una lampadina a parlare di referendum tra gli iscritti, di Pd sardo, persino di una sinistra di governo “che non sta dalla parte dei petrolieri”. Fuori tempo massimo.
Ma torniamo a Ganau e Nicola Sanna. Il primo ha affondato impietosamente contro il secondo: “fa male ad anteporre la propria persona” ha detto a proposito dell’autocandidatura. Aggiungendo maliziosamente che bisogna sottoporsi alle primarie visto che la “percezione” sulla sua giunta “non è ottimale”. Per Ganau sarebbe servito “un ragionmento” più che “autocandidatura” che si dimostra “perdente”. Parole nette e chiare che preannunciano sorprese.
La battaglia sta cominciando, le truppe – esangui – si stanno schierando. I 5 stelle partono avvantaggiati. La sinistra, dopo i rovesci di Potere al Popolo e Leu, sta cercando di muovere le sue scarne pedine per tentare di costruire una vera alternativa mettendo da parte antiche divisione e supponenze estremistiche. Sull’altro versante la destra – perchè di destra si tratta e non di liste civiche – sta lavorando per un ritorno all’antico, al passato, candidando l’ex sindaco di An Nanni Campus. Ma c’è una questione da ricordare. Che molte faccende saranno decise dopo le regionali previste per febbraio. E anche in quel caso Gian Franco Ganau ha fatto interndere che non gli dispiacerebbe sostituire Francesco Pigliaru.
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