Sassari non è Las Plassas e non serve buttarla in “cionfra”. Ecco alcune proposte

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di Vindice Lecis

Nei giorni scorsi il presidente della giunta regionale Pigliaru e il sindaco di Sassari, Sanna, entrambi del Pd, hanno fatto finta di brigare attorno alla crisi di Sassari e all’occhio strabico della Regione nei confronti del Nord Ovest della Sardegna. Una polemica di cartapesta che verteva su una presunta pioggia di finanziamenti – 285 milioni di euro – che dovrebbero arrivare (o che sono arrivati, mah!) a ridosso delle elezioni regionali come generoso lascito della plumbea stagione pigliariana, di cui anche l’esperienza sassarese è uno speccho fedele.

Queste risorse economiche non risulta comunque abbiano lasciato tracce consistenti. Tutt’altro.

Sassari è in crisi, per responsabilità interne – la qualità delle sue classi dirigenti abituate ormai a una ferrigna occupazione del potere, minuziosa e militare e a cambiare sovente cavallo – e per le miopi scelte regionali. Potrei citare l’abbandono dell’aeroporto, il declassamento della sanità pubblica nei territori e di quella cittadina a vantaggio della potente lobby che difende la Qatar Foundation (caso Policlinico, al netto degli errori di gestione anche seri, insegna), l’agonia del porto di Porto Torres e della sua area industriale non bonificata, il decadimento delle infrastrutture stradali col blocco di progetti strombazzati, il neo centralismo verso le aree forti e alleate, lo spopolamento rurale.

Il candidato dei “Progressisti” Massimo Zedda nella sua recente e glamour visita sassarese pur di non mettere in discussione le radici della crisi sassarese, ha preferito gettarla in cionfra e parlare invece di Platamona e della vallata di Rosello. Ha cercato di far dimenticare così l’irridente frase pronunciata due anni fa – e mai smentita allora – quando a proposito del diritto di Sassari ad essere area metropolitana se ne era uscito con un bizzarro paragone con Las Plassas. Certo Zedda ha glissato su questa dolorosa fase di declino che porta per intero alla responsabilità del Pd, il partito che lo ha candidato alla guida della Regione, in perfetta continuità con la giunta Pigliaru (e lui infatti rimette in lista ben 4 assessori, da Arru a Caria, da Dessena ad Argiolas).

Pigliaru dichiara che Sassari ha ottenuto più soldi che gli altri territori. Ma davvero? Nessuno se ne è reso conto. E il sindaco del Pd gli ribatte chiedendo umilmente solo un poco più di autonomia. Un minuetto irritante. Credo invece che serva un grande sforzo di dignità delle popolazioni del Nord Ovest per definire progetti e proposte e farle marciare con una forte mobilitazione, prima di essere spacciati.

Che cosa propongo e che cosa vogliamo come Sinistra Sarda.

* Porre come questione prioritaria il rilancio dell’aeroporto di Alghero e del porto di Porto Torres. Si tratta di un tema non certamente locale e che riguarda il diritto dei sardi alla mobilità. Sull’aeroporto occorre prendere atto che la privatizzazione non ha sortito grandi risultati, scontando lentezze e ritardi a proposito delle tratte che sono state eliminate.

Allo stesso tempo bisogna completare gli assi viari già programmati e mai terminati nonostante annunci trionfalistici di regime.

Necessarie per i porti sono le istituzioni delle Zone economiche speciali (Zes) che possono rilanciare aree in crisi, sfruttando la possibilità di garantire fiscalità di vantaggio e riduzione consistente della burocrazia, compresa la possibilità di usufruire del credito d’imposta.

Sassari deve chiedere l’adeguamento e la manutenzione delle tratte ferroviarie e il rafforzamento del trasporto pubblico.

* La riforma della rete ospedaliera ha indebolito fortemente la sanità sassarese e quella algherese, riducendo i servizi ai cittadini, grazie a una impostazione centralistica e ragionieristica. Anche la questione del Policlinico è stata affrontata con un’algida supponenza. Nell’attesa della risuluzione, i servizi erogati dal Policlinico devono essere presi in carico dalle strutture pubbliche.

* Per quale motivo la Regione non faccia pesare le proprie prerogative statutarie in materia di credito non è chiaro. Bisogna vigilare contro le ipotesi di ridimensionmento, diventando finalmente parte attiva per rendere rapide le erogazioni di linee di credito e il sostegno agli investimenti produttivi. Di questo non c’è traccia.

* Bisogna senza troppi giri di parole chiedersi perché l’Eni ci abbia gabbato: chiusi gli impianti traidizionali, non ha propotto nulla di nuovo, disattendendo impegni presi. A questo proposito serve riaprire seriamente il capitolo sul destino di ciò che resta del polo industriale, a partire dalle bonifiche, condizione ineludibile per qualsiasi ipotesi di insediamento.

* La ripresa dell’edilizia e delle costruzioni appare decisiva, non in termini di consumo dissennato del territorio ma per il riasetto idrogeologico, per il recupero e il riuso nell’edilizia privata, per il completamento delle opere pubbliche necessarie. Nel 2017 i lavoratori del comparto sono scesi sotto la soglia dei 22 mila occupati quando, solo otto anni, prima erano 56 mila. Frutto avvelenato della scomparsa di 220 aziende e imprese che, come hanno denunciato Cgil, Cisl e Uil , si sommano alle cinquemila chiuse nel decennio precedente. Il reddito annuo di un lavoratore del settore supera a stento gli 8500 euro.

Bisogna sbloccare le risorse – che ci sono – per far partire le opere pubbliche già programmate.

*Affrontare il nodo di Predda Niedda, l’area “industriale” oggi in concorrenza con la città, è basilare. Serve immaginare nuovi compiti, un nuovo modello di urbanizzazione per non incentivare quella distesa di capannoni che tutto ingloba, tutto divora e imbruttisce. Servono strategie per servizi e commercio, tali da non uccidere ulteriormente il centro storico che avrebbe necessità dei suoi punti di rifermento, dalle botteghe artigiane ai negozi di prossimità, impedendo la fuga di strutture pubbliche e private. E’ giusto impegnarsi dunque in una discussione per fare di Predda Niedda invece di un non luogo, una importante opportunità come quartiere o polo, ad esempio, della tecnologia e della digitalizzazione. Almeno, parliamone.

* Sassari ha enormi potenzialità culturali e artistiche, una gloriosa università, un quotidiano, istituzioni, scuole importanti, intellettuali attivi in vari campi, buona editoria. Si tratta di avviare un confronto sulle scelte culturali e politiche, sul destino di Sassari e del suo territorio, la sua vocazione da immaginare di nuovo senza nostalgie, di fronte a uno svilimento della sua funzione storica di capoluogo del “capo di Sopra”. Immagino anche uno sviluppo e un sostegno all’arte pubblica, ad esempio e una maggiore attenzione alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio dei beni culturali – gigantsco – a partire dal Museo Sanna da rilanciare.

*La provincia di Sassari non è immune, tutt’altro, dal fenomeno dello spopolamento e della denatalità. Bisogna impedire la fuga di servizi e uffici dai paesi e allo stesso tempo impegnarsi in politiche di sviluppo territoriale e rurale. Vanno utilizzati i 500 milioni destinati a questi progetti. Ci sono regioni, come il Mejlogu ad esempio che nel biennio 2015-2017 ha perso il 5% degli abitanti con punte in alcuni centri del 15%.

*Servono più risorse contro l’abbandono scolastico che nella provincia supera il 22%. Gli edifici scolastici hanno necessità di manutenzione costante e di quella straodinaria. La scuola contro la fuga dei ragazzi deve definire progetti in collegamento con gli enti territoriali.

Ma per far questo bisogna mandare a casa il comitato di potere che ha gestito Sassari da quindici anni e la Regione da cinque. Costoro hanno tutto, controllano ogni cosa, hanno una forza chiamiamola persuasiva enorme. Ora si ripresenta con il Pd apparentemente defilato a dare le carte con una corte di trasformisti e di osannanti supporters.

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