Un’accozzaglia famelica al governo: il naufragio del centro destra sardo e il silenzio dei progressisti chic

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di Vindice Lecis

Dopo aver definito la coalizione di centro-destra che ha stravinto le elezioni regionali del 24 febbraio “un’accozzaglia”, Luigi Di Maio ora si accorge che “la Sardegna è ostaggio di una guerra tra bande”. Queste di Di Maio sono le – pur tardive – dichiarazioni più di sinistra che ho sentito nel silenzio dei presunti progressisti al pane carasau. Settanta giorni senza aver completato la giunta, caos nelle prime scelte politiche, imbarazzanti dichiarazioni di assessori e dello stesso presidente Solinas (sul 25 aprile e non solo) confermano ciò che molti, anche in campagna elettorale, avevano previsto: la destra in crescita cavalca un profondo sommovimento ma non ha le carte in regola per governare.

La destra sarda rappresenta però interessi. Corposi. Ad esempio cercherà – e i segnali ci sono abbastanza evidenti – di cavalcare alcune esigenze cementizie che sono uno degli snodi fondamentali dello scontro in atto. Interessi si badi bene che sino a ieri albergavano – è il caso di dirlo – nella coalizione di centro sinistra che ha governato talmente male da aver aperto e spalancato le porte a questa “accozzaglia”.

In effetti settanta giorni senza una giunta al completo sono un esempio lampante di fallimento. Questa situazione di non governo prefigura per la Sardegna – dopo la tronfia e fallimentare esperienza dei professori per fortuna rimandati a fare lezione – una nuova stagione negativa. I segnali ci sono tutti e rappresentano la dimostrazione di quante balle sulla competenza e la qualità ci hanno propinato.

Gli interessi traslocano, si mimetizzano. Ora hanno nella Lega il loro riferimento palese o nascosto. Il caso Sardegna testimonia il fallimento però di questa nuova aggregazione salvinana del rancore e della svolta reazionaria ma anche della subalternità delle altre forze, a partire dal Psd’Az a un disegno egemonico di puro potere.

Ma c’è un altro aspetto. La responsabilità non è mai – o quasi mai – degli elettori. Non hanno avuto bisogno di tanto i sardi per convincersi che il Pd e la sua sgangherata compagnia, di campi e orti progressisti e di trasformisti, avevano portato la Sardegna (con due crisi specifiche all’interno, quelle del nord ovest e delle zone interne) al disastro. Mi chiedo allora: si sente la voce della cosiddetta opposizione? A parte queste battute fuori tempo di Di Maio, che cosa fa ad esempio il gruppo dei M5S? E specialmente in che cosa si distingue Massimo Zedda, ora sceso da cavallo secondo una fortunata definzione di un consigliere Pd, che sarebbe dovuto essere a capo dell’opposizione dei “progressisti”? E perchè il capogruppo del Pd, l’ex presidente del consiglio regionale Ganau, non chiama a raccolta i suoi per un’azione forte ?

Semplicemente perché non sono capaci né di governare né di stare all’opposizione. A scanso di equivoci aggiungo che anche l’opposizione fuori dal consiglio, quella di sinistra o quella variamente indipendentista o identitaria, è silente.

In realtà sia la destra al governo pro tempore, sia il Pd e la sua corte all’opposizione fanno parte di quel monopartitismo competitivo che li rende simili anche se in apparenza sembrano diversi (lo stesso sta accadendo al comune di Sassari). Manca oggi una vera, efficace, matura e consapevole opposizione che si candidi domani a governare.

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