Sassari, dal soffocante regime Pd al successo di Campus

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di Vindice Lecis

“I sassaresi mi fanno schifo” ha scritto su facebook una delusa fan del candidato sindaco della coalizione di centrosinistra. La smarrita tricoteuse della continutà, in questo insulto alla città  racchiude tutto l’abisso culturale, umano e politico che separa quella coalizione dai cittadini, dai suoi problemi, dalle sue angosce, dai suoi errori persino. Cecità e anche autentica incapacità a capire che cosa si muove nella testa e nella pancia.

I sassaresi dunque le fanno schifo perché non hanno scelto il candidato proposto dalla coalizione che ha governato Sassari per venti degli ultimi venticinque anni. Una generazione intera. Eppure bisognerebbe avere, proprio ora, modestia e freddezza nell’analisi del voto. E capire perché i sassaresi hanno deciso di dire basta. Un tempo lontano, dopo ogni consultazione, si scrutavano i numeri e si facevano delle valutazioni impietose: Campus, ad esempio, è stato portato a Palazzo Ducale letteralmente a furor di popolo grazie ai voti dei quartieri popolari. Ebbene sì, guardateli quei voti che vengono come torrenti da Santa Maria di Pisa, dal Latte Dolce, dal Monte Rosello, dal Centro Storico. Contateli e leggerete in essi la rabbia, il disagio, il fastidio verso una certa politica, verso un certo regime di carta. Un voto dunque anche contro il malgoverno. Voti popolari, proletari, degli ultimi “brutti, sporchi e cattivi” dei quali ci si riempie sempre la bocca. In certi seggi di quelle zone Campus vola oltre il 60% mentre il suo competitore tiene nei quartieri della borghesia di varia gradazione. Ne vogliamo parlare o va bene così?

Con la sconfitta di Sassari, il Pd perde anche l’ultimo ente locale che amministrava in Sardegna. Non resta più nulla a quel partito un tempo pigliatutto e le macerie di tale tracollo non possono nascondere il fallimento di una politica devastante a livello nazionale e locale.

Sassari mai come in questi anni è stata relegata in un angolo, impoverita, vilipesa.

I sassaresi mi fanno schifo, ha detto la tifosa a digiuno di politica e della cassetta degli attrezzi. Ma ha visto la campagna elettorale del centrosinistra? Il bravo magistrato si è certo speso, ha incontrato molte persone, ha persino mobilitato gente, ma lo ha fatto in un deserto. Ha tentato di arginare una rabbia profonda e di rianimare un cadavere: quello del centro sinistra. Che è morto, sepolto. Ne prendano atto.

Brianda e i suoi hanno compiuto tanti errori di valutazione. Perché non elencarli? Il primo, più grave, la sua ostinazione a non voler fare a meno del Pd marcando già una delimitazione a sinistra. Il secondo, non essere riuscito a segnare una discontinuità con l’amministrazione uscente sulla quale la città ha espresso un definito giudizio di sepoltura. Il terzo è stato, con una certa ingenuità, una certa supponenza del programma elettorale e della stessa campagna. Leggera, impalpabile, quasi ideologica.

I dati ci dicono molto di questo tracollo.

Prima di tutto ci spiegano che il fascino dei due contendenti non era tale da  entusiasmare. Non è un caso che, tra il primo e il secondo turno, siano rimasti a casa 14.883 sassaresi. Hanno votato in 44.480 poco meno del 41%. Questo primo elemento deve far riflettere molto sul disagio, la disaffezione verso la politica.

Il secondo dato sul quale riflettere è la capacità propulsiva dei candidati. Campus ha guadagnato in quindici giorni 6821 voti pescando a larghe mani nel centro destra che era poi il suo serbatoio (e non solo, a mio parere grazie a quel camuffamento civico fasullo). Risultato: 24.376 voti pari al 56.62. Un risultato netto.

Brianda invece, che partiva da 19.570 voti ottenuti nel primo turno è rimasto inchiodato a quel dato, anzi ha perso circa 350 voti. La sua capacità propulsiva si è interrotta per la difficoltà a connettersi con un elettorato sassarese che chiedeva una svolta anche in mondo confuso. Voleva discontinuità, non legarsi a Campus. Ma dagli altri non poteva averla perché erano il passato fatto di scialbi errori.

La sinistra tutta – e dico tutta – deve ora interrogarsi cercando di capire verso dove muoversi. Chiedersi ad esempio del perché questo giudizio senza appello contro il Pd sassarese e i suoi governi rissosi, contro quel sistema ramificato che metteva insieme credito, formazione, associazionismo, enti locali, cultura, sanità e sottogoverno. Che è successo? Chiedetevelo.

La sinistra dovrà capire che deve uscire dal referendum quotidiano su Salvini perché così fa un favore a Salvini stesso. Che si combatte invece sul terreno economico e sociale: contro la flat tax, contro l’autonomia differenziata che distruggerà il Paese e aumenterà le sperequazioni. Invece su questo c’è silenzio o chiasso subalterno sui social network.

So che non lo capirete perché siete convinti che la politica sia tatticismo deteriore, furbizia, moderatismo, chiacchiere e disattenzione verso le questioni vere del Paese. Immagine. Non capirete finché non mollerete anzitutto il Pd, origine dei guai e del buco nero nel quale è affondato il pensiero “di sinistra” (fatto ora di liberismo, vicinanza alla Confindustria, alle banche, all’Europa finanziaria, alle èlite ) . Sarebbe bello ascoltare una vostra autocritica.

Nei mesi scorsi ho letto qualche supponente pensatore della sinistra alleata col Pd ironizzare sulle forze che, alle regionali scorse, avevano preso lo “zero virgola”. Questa maramalda irridenza forse è costata cara. Magari quei voti generosi, ad esempio gli ottocento di Sinistra Sarda a Sassari, potevano trovare rappresentanza in un progetto di alternativa. Non lo avete voluto. Invece avete scelto altro il moderatismo continuista o la spocchia autoidentitaria. E ora abbiamo Campus, uomo di destra, un capolavoro.

Ma per favore non prendetevela con i sassaresi, indirizzate invece i vostri strali sul devastante modello di governo della città appena sepolto. Vedremo chi farà davvero ora opposizione a Campus  (sarà come in consiglio regionale dove è inesistente).

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