Nasce il governo DragOni: la piena continuità tra Draghi e Meloni

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di Vindice Lecis

Chissà cosa pensano oggi quegli elettori che hanno votato il centro destra spostandosi da Salvini e Berlusconi (e anche dai 5 Stelle pre Conte) verso la Meloni. Avevano sognato, vagheggiato, una svolta confusa nella politica economica, un muso duro verso l’Europa delle banche accusata sino a poco prima di affamare l’Italia, magari un altolà alla guerra in nome non del pacifismo ma di un sano egoistico nazionalismo.

Quei poveri illusi in questi giorni stanno prendendo atto della differenza abissale tra i comizi e il fare concreto. La cartellina che Draghi ha consegnato a Meloni durante lo scambio della campanella “per cominciare bene”, sorta di compiti da fare a casa, e l’atteggiamento compiacente e paterno dell’ex presidente della Bce verso il capo (la capa?) dell’estrema destra racconta su che strada si muoverà il governo.

Un esecutivo con un ministro degli Esteri  (Tajani) scelto dopo il placet degli Usa e quello della Difesa (Crosetto) che è un produttore d’armi e legatissimo a quelle industrie. In linea piena col predecessore, Giorgia Meloni, madre e cristiana, ha deciso che il suo primo viaggio sarà a Kiev e si è sbracciata in una fitta serie di dichiarazioni di essere al fianco dell’Ucraina e della Nato. Al Dipartimento di Stato Usa hanno preso nota compiaciuti.

Anche i giornali della grande borghesia che hanno lanciato l’allarme sul fascismo,  visto che Giorgia ha dato le giuste rassicurazioni, si sono tranquillizzati. E il Pd è già impegnato a costrure un’opposizione fasulla.

La destra al governo di oggi è solo di poco differente da quella che ha sostenuto Draghi. Numerosi vasi comunicanti la collegano: grandi opere speculative, scarsa attenzione ai mercati internazionali non allineati, capitalismo compassionevole, saldo rapporto con Confindustria e con la finanza che conta, diffidenza verso le organizzazioni dei lavoratori, stretta sui diritti, atlantismo spinto.

Draghi e i suoi non hanno avuto tempo di mettere mano alla Costituzione ma Giorgia e i suoi sodali hanno già annunciato che sognano il presidenzialismo e la torsione autoritaria del Paese. Vogliono un paese che somiglia alla Polonia: guerrafondaio, clerico-fascista verso i diritti conquistati in decenni di lotte, ancora più subalterno agli Usa, propugnatore di mendaci follie come quella della meritocrazia. Un totem liberale al quale si era già contrapposto persino il papa nel 2017 con parole chiare: “Un altro valore che in realtà è un disvalore è la tanto osannata ‘meritocrazia’. La meritocrazia affascina molto perché usa una parola bella: il ‘merito’; ma siccome la strumentalizza e la usa in modo ideologico, la snatura e perverte. La meritocrazia, al di là della buona fede dei tanti che la invocano, sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza”.

La continuità tra il draghismo e l’accozzaglia clerico-reazionaria è sulle cose che contano (guerra in primis) non su sciocchezze semantiche alle quali solo una pseudo sinistra alla canna del gas può dare conto. Oltre a sbracciarsi di commossa soddisfazione perché una donna è a Palazzo Chigi. Una donna che mai ha fatto i conti col fascismo.

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