Tissone (Silp-Cgil): contro il terrorismo non bastano i mitra, stop tagli alle forze di polizia, serve coesione nazionale

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di Vindice Lecis

Due poliziotti intercettano a Sesto San Giovanni il terrorista islamista Amis Amri responsabile della strage di Berlino ed è ricercato in mezza Europa. Risponde sparando alla richiesta di documenti. Viene freddato. In quel momento l’Italia si rende conto che è un bersaglio oltre che un tradizionale luogo di passaggio, smistamento e reclutamento di terroristi. E si riscopre anche il ruolo indispensabile degli uomini nel controllo del territorio.

Eppure la realtà ci dice che, al di là della retorica, i governi hanno sempre tagliato risorse e personale adibito alla sicurezza. Nel 2008 gli operatori della polizia di Stato erano 103 mila. Oggi sono scesi a 98 mila, con un’età media di 45 anni, aggravata dal blocco del turn over per nuove assunzioni. E sono senza contratto da otto anni. Il governo Berlusconi aveva effettuato tagli alle politiche per la sicurezza per 4 miliardi. Con la legge Madia si riducono invece ulteriormente i presidi e commissariati.

Daniele Tissone è il segretario generale del Silp, il sindacato dei lavoratori di polizia aderente alla Cgil. Dal neo ministro Minniti – di cui riconosce competenza nel settore della sicurezza e dell’Intelligence – si attende alcune cose: ma la più importante è che blocchi la deriva militarista che sta trasformando e portando indietro la polizia di Stato rispetto ai fondamentali della riforma del 1981.

Può spiegarci?

“Per la polizia il problema è tutto politico ed è un banco di prova per il ministro. La legge 121 del 1981 nasce al termine di un complesso processo che impose alla politica un sussulto e una convergenza su una riforma democratica della polizia. Non solo smilitarizzazione ma progetto di sicurezza nel territorio legato anche al reclutamento in un corpo civile con molte donne e giovani. Oggi posso dire che quella riforma in molte parti è inattuata mentre assistiamo a una nuova forma di militarizzazione”.

Cosa servirebbe invece?

“Un modello nuovo di sicurezza civile. E risorse, naturalmente e non tagli”.

Anche per contrastare il terrorismo?

“Certamente. Il terrorismo non si batte solo con i mitra ma con lo stanziamento di fondi, incrementando il controllo sul territorio e intensificando l’azione di. Il intelligence modello militare non serve”.

In Italia c’è la convinzione che godiamo di una qualche immunità dal terrorismo islamico.

“In realtà il livello d’allarme è altissimo”.

E c’è anche il versante dell’eversione nostrana.

“Lo conferma il gravissimo ferimento del poliziotto fiorentino dopo il ritrovamento di un pacco bomba. Si tratta di un filone di tensione sociale e politica che vede spesso protagonisti partiti e movimenti di ispirazione neo fascista quali Forza Nuova e Casapound, oltre ai settori cosiddetti “antagonisti” e a gruppi legati al mondo anarco-insurrezionalista”.

Torniamo all’islamismo stragista.

“Si tratta di un fenomeno trasnazionale, imprevedibile e sul larga scala. Il terrorismo gode di appoggi e complicità e di flussi ingenti di finanziamenti. Ho detto imprevedibile perché diverso dal terrorismo che abbiamo affrontato in passato. Oltre ai sodalizi criminali ci sono i foreign fighters di ritorno, i lupi solitari e gli emulatori”.

Il caso di Sesto con l’uccisione di Amri significa qualcosa?

“Che il personale era più pronto, visto il livello di allarme”.

Dunque non esiste sottovalutazione.

“Molti di questi soggetti che seminano terrore si sono radicalizzati nel tempo. E utilizzano strumenti diversi. Il caso dei camion sulla folla, ad esempio. Serve un monitoraggio del web dove si incita all’omicidio, si indottrinano gli adepti e si fa proselitismo”.

A che punto è l’azione di controllo della polizia italiana?

“Direi che gode di un vantaggio: l’attenzione e l’impegno storico contro la criminalità organizzata e il terrorismo nostrano. Esiste anche un’intelligence radicata. Ma non possiamo cullarci sul passato: servono assolutamente nuove risorse per l’intelligence e la investigazione. E anche risolvere uno dei problemi più significativi: la condivisione delle informazioni tra le polizie europee”.

Anche la questione emigrazione è un’autentica emergenza: umanitaria, d’accoglienza e di cosiddetta integrazione.

“L’emergenza c’è e la soluzione appare difficile. Servono scelte comuni condivise”.

Il capo della polizia ha annunciato rimpatri per chi non ha diritto a stare nel nostro paese. Un richiamo alla legge.

“Ci sono i migranti richiedenti asilo che fuggono da guerre che abbiamo il dovere di proteggere. E altri migranti che secondo le attuali normative non hanno diritto a restare in Italia. Il capo della polizia ci ricorda che può restare solo chi ha titolo, oppure si deve applicare l’espulsione. C’è inoltre una difficoltà oggettiva nei rimpatri, non sempre certi consolati stranieri rispondono e siamo costretti spesso a tenere in Italia soggetti indesiderati che hanno compiuto reati”.

Il terrorismo in Italia fu battuto anzitutto con la mobilitazione popolare e una certa unità tra le forze politiche. Un insegnamento valido per l’oggi?

“In Italia viviamo una difficile situazione politica, economica e sociale: chi governa e chi sta all’opposizione ha l’obbligo di trovare un terreno comune su alcuni temi fondamentali, come quello della sicurezza”.

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