Non è solo rancore l’Italia che si affida ai 5 Stelle per cancellare il Pd (e perché la sinistra è ai minimi termini)

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di Vindice Lecis

E’ un paese il nostro che non ne può più. Impoverito, affamato, impaurito, senza prospettive. Con i giovani che fuggono. Dove nulla appare pulito, dove le opportunità non esistono. Devastato dalla corruzione, dall’ingiustizia sociale e dal trasformismo. Schiavo di un’Europa che, dopo la Grecia, ci ha scelto come laboratorio sociale per le sue politiche liberiste.

I commentatori si ricordino di affacciarsi alla finestra e cercare di capire senza spocchia.

Perché il voto ai 5 stelle non è un voto populista e nemmeno di destra. Non è, o non soltanto, una scelta di rancore o negativa. Ma una chiara indicazione di rotta, una disperata richiesta di cambiare registro. Milioni di cittadini si sono affidati a loro per cercare di cancellare dalla geografia politica il partito che, più di ogni altro, ha rappresentato la malattia di questo Paese: il Pd di Renzi, Boschi, Franceschini, Rosato, Carbone, Lotti, Fassino e Orfini. Il Pd è stato per questo punito duramente, pesantemente. Alla Camera è finito sotto il 19%. I suoi uomini sono stati falcidiati e umiliati dagli elettori. La finta coalizione messa frettolosamente in campo da Renzi non è arrivata nemmeno al 24%. Il gruppo parlamentare del Pd alla Camera si avvia diventare il quarto gruppo.

Un disastro reso ancora più chiaro e netto dall’analisi dei singoli collegi. In Emilia Romagna, ad esempio, il primo partito è il M5S e la coalizione vincente quella di destra. Nel collegio uninominale di Ferrara il candidato del centro destra sfiora il 40% umiliando Dario Franceschini, il ministro padrone del Pd locale che non raggiunge il 30%. E quando vince il seggio, il Pd non ha problemi a candidare antichi nemici della sinistra, svellendo le proprie radici: alla Camera a Modena con la ministra Lorenzin e al Senato a Bologna con Casini. Al Pd resta solo la Toscana, insidiata da vicino dalla destra. Per il resto, si tratta di una sconfitta di proporzioni gigantesche, particolarmente evidente in tutto il Sud e nel Nord.

I 5 stelle alla Camera superano il 32% e al Senato si avvicinano a quella soglia. Una grande vittoria, segno del disagio, della rabbia, del malessere che vive da anni la società italiana. Non conta solo la ricetta che i 5 Stelle propongono – ricca di proposte e anche di improvvise e moderate retromarce – ma deve far riflettere che i cittadini si siano affidati a loro per cacciare il tiranno, quel partito che governava come un padrone feroce l’Italia grazie al 25% ottenuto nel 2013 ma gonfiato sia dalla legge elettorale truffa che dal sostegno della destra.

L’elettorato dei 5 stelle è vario e interclassista. Ma non si faccia l’errore di definirli solo populisti o arrabbiati. Ormai la loro traversata nel deserto dura da anni e va analizzata seriamente. Non sono alieni. Bisognerà fare i conti con costoro, attesi ora alla prova più difficile e non a ripetere slogan. Ma se la destra veramente xenofoba è stata arginata lo dobbiamo a loro. Interessante sarà capire come si comporteranno di fronte al moloch dei mercati finanziari e degli organismi internazionali pronti sempre a limitare la sovranità nazionale.

E proprio a destra assistiamo all’altra vera grande novità di questo voto: la sconfitta di Berlusconi. L’anziano leader pregiudicato non è riuscito a convincere i suoi elettori di essere in grado di ripetere antichi exploit. I cittadini non hanno dimenticato lo squallore delle sue esperienze di governo e la corruzione. E’ stato invece valutato come un patetico clown in disarmo, non in grado di competere con il più giovane, svelto, ingombrante, Salvini. La destra a trazione leghista rappresenta un pericolo per la insopportabile continguità con l’estremna destra e le semplificazioni che sanno di dilettantismo. Certo è che hanno smesso di rappresentare il sindacato del Nord ricco e produttivo per diventare una forza nazionale.

A sinistra è stato un disastro, inutile nascondersi dietro i decimali. Liberi e Uguali – secondo alcuni quotidiani – sarebbe già sull’orlo di una scissione. Aver superato a fatica l’asticella del 3% è stato un chiaro segnale di fallimento del progetto politico. Grasso non ha aggregato e non ha parlato alla sinistra diffusa pur presente in Italia. La sua storia,  rispettabile, diceva altro e non è bastato fare il pacato padre di famiglia. Troppo poco nel disastro sociale ed economico. Eccessiva è apparsa l’ambiguità nel rapporto col Pd e certe proposte, anche “radicali”, non sono state ritenute credibili visto che alcune delle leggi da abolire erano state votate da molti degli esponenti di Leu. A questo, aggiungiamo una evidente divisione interna di prospettiva tra i bersanian-d’alemiani assai governisti e quelli di Sinistra italiana.

Anche il risultato di Potere al popolo è stato assolutamente deludente. Questa formazione con soli tre-quattro mesi di vita ha lavorato sulle ali dell’entusiasmo ma non ha intercettato l’elettorato di sinistra in cerca di una casa. Aggiungo che alcune candidature, in molte zone, sono apparse inadatte e i dati lo segnalano. Il programma era certamente l’unico davvero di sinistra (su lavoro, Europa, diritti) ma con alcune insopportabili scivolate. Pap – dove confluivano i due partiti comunisti e altre organizzazioni- è stata avvertita non solo come una interessante e originale luce in fondo al tunnel ma anche come un’organizzazione eccessivamente caratterizzata da un certo estremismo. L’1.2% non può assolutamente essere considerato soddisfacente, anzi.

ps: mi attendo che accada ciò che non è avvenuto dopo il referendum del 4 dicembre 2016. Vale a dire le dimissioni di quei direttori dei giornaloni fedeli al renzismo e che hanno raccontato e fatto raccontare un paese che non esiste, trasformando i giornali da cani da guardia del potere in pasdaran di un livido sistema di governo. Aspetto con ansia almeno qualche riga di autocritica

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