L’indimenticabile 1956: la lezione di Poznan e le differenze tra Togliatti e Di Vittorio

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di Gianluca Taccori*

In Polonia il dibattito che ferveva da 1954 contro la politica staliniana divenne improvvisamente acceso e aperto, trasformandosi in movimento di massa attento alle rivendicazioni sindacali. La “destalinizzazione” non poteva restare circoscritta all’interno degli ambienti politici ma doveva diventare alimento di una vita sociale nuova. In caso diverso sarebbe stata solo un mutamento di facciata e un aggiustamento di metodi¹. La Polonia, contrariamente alle altre democrazie popolari, non aveva mai spinto il culto di Stalin sino ai suoi aspetti patologici. Ma, comunque, alla morte del leader georgiano, nel 1953, era diretta secondo i suoi principi. Oltre al discorso moderato pronunciato da Bierut, segretario del POUP (Partito Operaio Unificato Polacco), nel luglio del 1953, in cui si riconoscevano alcuni errori commessi nell’attuazione della politica agricola del governo, nessun’altra misura rivelò la ben che minima volontà dei dirigenti polacchi di allinearsi a Mosca.

Il “Nuovo Corso” che prendeva le direttive dalla politica attuata da Malenkov in Unione Sovietica fu adottato, non senza riserve, in occasione di una riunione del Comitato Centrale del partito il 29 ottobre 1953. Furono accordate alcune concessioni economiche, ma non si previde alcun cambiamento politico. Continuò l’arbitrio poliziesco e lo stesso anno fu arrestato il cardinale Wysznsky e diversi generali dell’esercito furono fucilati². Durante il congresso del partito operaio unificato nel marzo del 1954, Bierut si permise una breve autocritica. Il paese rimase calmo e il sistema di informazione a senso unico assicurato in parte anche da una censura molto rigida, non consentiva assolutamente all’opinione pubblica di esprimersi liberamente. Furono gli apparatciki, sebbene odiati dalle masse popolari poiché ne avevano sempre, deliberatamente ignorato le aspirazioni e gli interesse, quelli che si incaricarono di questo compito.

In occasione di una riunione dell’Aktiva di Varsavia, nel dicembre del 54, una critica di una violenza senza precedenti investì coloro che erano ritenuti responsabili di sistemi giudicati inammissibili. Questi metodi, in nome della “Legalità Socialista”, furono denunciati. Fu così che dopo questa pressione, il 7 dicembre 1945 fu abolito il ministero della sicurezza pubblica sostituito da un comitato. I dirigenti polacchi, per la prima volta da quando erano al potere, esaminarono con un certo spirito critico le novità proposte durante l’”era “ di Malenkov e le applicarono con molta precauzione, tenendo conto degli interessi nazionali³. Il lento evolversi della situazione verso una innegabile diminuzione della tensione interna fu accolto con soddisfazione in tutta la Polonia. Furono fondati spontaneamente, ma senza uscire dai limiti della legalità, diversi circoli di intellettuali (il primo, il famoso “Circolo Torto”, fu costituito nell’aprile 1955) che ben presto ripresero la loro funzione di catalizzatori politici e di “valvola di sicurezza”. Il moltiplicarsi dei circoli era un segno evidente delle energie nascoste o meglio represse del paese.

La stampa a sua volta, per quanto sottoposta a censura, si rivelò insieme con i circoli un altro laboratorio di idee giudicate fino ad allora sovversive. Un’idea può essere offerta dalla “Poesia per adulti” di Adam Wazyk uscita nell’agosto del 1955 sul settimanale “Nowa Kultura” che costituisce una J’accuse contro lo stalinismo. Il XX Congresso sovietico accelerò ancora di più tale processo in quanto, provocò anche la pubblicazione, avvenuta il 19 febbraio 1956, di un comunicato firmato dai rappresentanti dei diversi partiti comunisti in cui si sosteneva che lo scioglimento del Partito comunista polacco nel 1938 era stato ingiustificato, e ne attribuiva la responsabilità ad “agenti provocatori”. La formula ricordava quella usata da Krusciov durante la sua visita a Belgrado l’anno precedente quando imputò a Beria l’espulsione della Jugoslavia dal Kominform. Il comunicato evitava però accuratamente di riferire che la maggioranza dei quadri comunisti polacchi erano stati eliminati, tout-court, sotto l’accusa di deviazionismo. Dopo la riabilitazione, il momento del realismo, il dossier polacco inizia a mostrarsi per quello che è: uno spartito scabroso dalle conseguenze imprevedibili.

In Polonia la stampa prese a fare dei riferimenti sempre più trasparenti al “Rapporto segreto” di Krusciov e gli intellettuali vennero rapidamente a conoscenza del documento. Questi vi videro subito la conferma delle rivelazioni, ampiamente diffuse dalle radio occidentali in lingua polacca, di uno dei membri di spicco della polizia segreta Joseph Swiatlo, fuggito in Occidente per evitare la sorte di Beria di cui per anni aveva seguito le direttive. All’indomani del XX Congresso l’uomo che Stalin aveva sistemato alla direzione della Polonia, Bierut, fu vittima di un attacco cardiaco a Mosca. Krusciov si recò personalmente a Varsavia il 20 marzo al sesto Plenum del Partito comunista polacco in modo da influenzare apertamente l’elezione del nuovo segretario, dimostrando così quanto vi fosse di demagogico nelle sue dichiarazioni di autonomia e uguaglianza di ogni partito comunista. La pretesa dell’Unione Sovietica di tradurre in un sistema prevedibile l’intero campo socialista è la medesima che ha reso fallaci e spesso fallimentari tutte le utopie, la pretesa cioè di fermare esigenze nazionali, continue differenziazioni e mutazioni all’interno delle stesse logiche ideologiche.

Lo scontro all’interno del POUP vide la presenza di sue correnti principali: il gruppo dei “natoliniani” (che deriva dal nome del quartiere di Varsavia in cui essi si riunivano) era considerato il più “ortodosso”all’interno del partito ed era contrario ad una politica che non fosse stata approvata da Mosca; il gruppo Pulawska invece (che richiamava il nome della via Pulawska di Varsavia dove aveva la residenza uno dei suoi leader Roman Werfel) spingeva per avere dei cambiamenti all’interno del Partito operaio unificato e nella gestione dell’economia e dell’apparato repressivo. In questa occasione il Segretario del PCUS influenzò il Comitato Centrale polacco con il suo consiglio di non affidare agli ebrei cariche troppo importanti. Questa osservazione indusse il Plenum del Partito a rinunciare alla sua intenzione di affidare la segreteria del POUP a Zambrowski di chiare origini ebraiche. Al suo posto venne nominato il “centrista” Ochab. Il nuovo segretario col chiaro intento di allentare la tensione interna promosse una serie di amnistie delle vittime dello stalinismo che portarono alla liberazione di trentamila persone.

Ai primi di maggio il numero due del vecchio regime Berman dovette rassegnare le dimissioni seguito dal Ministro della Giustizia e dal procuratore generale. Fu dato l’annuncio (vecchio di un anno) della liberazione del noto dirigente comunista Gomulka arrestato con l’accusa di “titoismo” in quanto fautore di una “via specifica, polacca, al socialismo”. Le statistiche di Minc, celebre pianificatore dell’economia del paese, furono fortemente stigmatizzate in un congresso di economisti polacchi in cui si tendeva ad evidenziare la discesa preoccupante del livello di vita della popolazione. La crisi diventò grave quando nel centro industriale di Poznan il 28 giugno iniziò uno sciopero di massa. Quel giorno i quindicimila operai della fabbrica di locomotive, carri ferroviari e materiali militari Zispo esasperati da un lungo e infruttuoso tentativo di ottenere attraverso la via delle trattative , qualche risultato in merito alle richieste presentate, riguardanti sostanzialmente l’aumento dei salari e la riduzione dei ritmi produttivi, scesero per le strade della città dando vita a una vera e propria sollevazione. Le forze di polizia, appoggiate dai reparti militari riuscirono alla fine della giornata ad avere ragione dei manifestanti, ma i morti furono oltre cinquanta mentre i feriti erano circa trecento e altrettanti furono i dimostranti tratti in arresto.

La gravità del fatto era accresciuta per il governo polacco dall’impossibilità di nasconderlo all’opinione pubblica mondiale. Infatti l’insurrezione era avvenuta nel momento in cui la tradizionale fiera internazionale vedeva riuniti nella città polacca centinaia di visitatori stranieri. Lo sciopero di massa motivato sia economicamente che politicamente si era trasformato in una sanguinosa rivolta di chiaro orientamento antisovietico, cui non mancò di dare appoggio l’influente chiesa cattolica. Infatti l’esplosione di sentimenti religiosi durante la manifestazione operaia si affiancò alla protesta politica, il tutto venne unificato da sentimenti nazionali che costituirono un fattore sempre più importante fino ad assumere un ruolo decisivo nelle vicende del mese di ottobre. Gli avvenimenti di Poznan costituiscono un vero e proprio spartiacque, come ha scritto lo storico Fejtò: “Dopo Poznan i liberali diventano più liberali, gli stalinisti più stalinisti”. Perché Poznan? “Gli incidenti scoppiarono a Poznan e non in un altro agglomerato industriale, probabilmente perché il malcontento operaio, diffuso un po’ ovunque, a Poznan era più forte che altrove e le autorità locali meno capaci di sedarlo”. L’economista polacco Brus al contrario è poco propenso a dare una spiegazione di natura economica all’origine della crisi che porterà all’“ottobre”. Secondo la sua interpretazione l’aspetto principale consiste nella “scomparsa del riconoscimento incontestato dell’autorità semidivina di Stalin, poiché nessun altro al suo posto avrebbe potuto contare su analoga obbedienza (…). La riconciliazione sovietico-jugoslava fu di importanza ancora maggiore, poiché costituiva l’ammissione di un grave errore commesso dall’Unione Sovietica rispetto ad un altro paese socialista, e perché riconosceva la possibilità di vie diverse al socialismo”¹. Veljko Miciunovich, ambasciatore, jugoslavo a Mosca, ricorda che tutti i funzionari sovietici da lui incontrati attribuirono i disordini a Poznan al processo di destalinizzazione in atto, e non alle condizioni socioeconomiche in cui viveva il popolo polacco¹¹.

In effetti che si tratti di una protesta operaia non dovrebbero esserci dubbi, anche se le autorità polacche, occupate per altro in un’aspra lotta di potere senza esclusione di colpi parlano in un primo momento di “provocatori”. È questo d’altra parte quanto suggeriscono subito i sovietici i quali, in una risoluzione del Comitato Centrale del 1° luglio, attribuiscono i fatti di Poznan ad un “intervento sovversivo dell’imperialismo”.

Gli avvenimenti polacchi vengono analizzati dalla stampa comunista attraverso un doppio prisma interpretativo. II corrispondente dell’“Unità” da Varsavia, Vito Sansone, pur attaccando violentemente i rivoltosi sottolinea che le “manifestazioni di Poznan erano agitazioni di carattere sindacale che nascevano da difficoltà oggettive non superate e anche da errori e difetti non ancora liquidati nel campo dei rapporti tra il cittadino e lo stato”. Questa fraseologia lascia perciò trasparire delle velate critiche rivolte agli apparati governativi. Gli errori del POUP diventano espliciti quando I’inviato del quotidiano comunista raccoglie le testimonianze e lo stato d’animo degli operai polacchi: “In tutte le fabbriche della Polonia ci sono state oggi riunioni: gli operai hanno stigmatizzato, indignati gli incidenti; hanno criticato il partito, la polizia. (…) Come è potuto accadere? E ci sono critiche alla stampa (…)”¹².

Il segretario generale della CGIL, Giuseppe Di Vittorio in un editoriale sull’Unità pubblicato il 2 luglio 1956, accogliendo in parte i rilievi fatti da Sansone, assumeva una posizione originale affermando che “se non ci fosse un malcontento diffuso e profondo nella massa degli operai, i provocatori sarebbero stati facilmente isolati”. In sostanza Di Vittorio nel suo intervento, pur non escludendo la presenza di elementi provocatori nel corso della manifestazione, aveva posto in modo significativo il problema della burocratizzazione dei sindacati polacchi e quello decisivo della ricerca della partecipazione e del consenso dei lavoratori alle scelte fondamentali che si ponevano nelle fabbriche e nel paese¹³.

Ecco che l’immagine idillica dei paesi dell’Europa orientale codificata come potrebbe esserlo una icona bizantina, viene sottoposta a una lenta ma significativa revisone. L’accettazione acritica al modello sovietico subiva una profonda crisi che divenne successivamente irreversibile.  Dall’estate del 1956 il dagherrotipo del comunismo non è più lo stesso. Non può più essere lo stesso. Per quanto sia avviato verso una china discendente il modello socialista liberatosi dai suoi tratti ecclesiastici e iniziato il suo processo di secolarizzazione, serve in questa nuova veste laica più che mai da supporto alle passioni anticapitalistiche e anti-imperialistiche.

Accanto a queste posizioni più vicine alla situazione reale, con la tendenza a interpretare i fatti polacchi come una crisi del comunismo in quel paese, e come una conferma della necessità di autonomia, abbiamo articoli caratterizzati da una doppiezza tattica in cui emerge chiaramente la più stretta ortodossia filo-sovietica con gli operai polacchi che vengono genericamente definiti “elementi colpiti dalla rivoluzione”. Il socialismo, lo Stato popolare, si sostiene: “si difendono da simili provocatori, e guai se così non fosse: su questo terreno sarebbe bene che non si facessero illusioni quanti formulano la criminosa speranza di un ripetersi ed estendersi di fatti simili”. Vi è infatti, sottolinea “LUnità”, la “folle speranza dell’imperialismo di un ritorno di quei paesi alle loro “patrie perdute” dominate da dittatori delle grandi banche francesi e tedesche”¹. Questo è un esempio illuminante di un apparato propagandistico incapace di fronteggiare appieno la gravità dei fatti e di come “l’istituzione forte”, per compensare in qualche misura gli effetti deleteri del crollo del mito, reagisca a un attacco esterno di massicce proporzioni.

In Italia lo stesso Togliatti fa proprie le veline “ufficiali” sugli avvenimenti di Poznan. L’articolo, ormai celebre del Segretario del Partito comunista dall’eloquente titolo “La presenza del nemico” è pubblicato dall’ “Unità” il 3 luglio. Il delinearsi cosi traumatico di due schieramenti all’interno di uno stato retto da un sistema di democrazia popolare gli suggerisce immediatamente quale posizione assumere, che non può che essere quella “ufficiale”, anche a prescindere dalla realtà dei fatti. Sarebbe sbagliato illudersi, sostiene il leader del PCI, che nel nuovo clima della distensione internazionale gli avversari del socialismo siano scomparsi: “Il nemico esiste. E forte, è attivo, è senza pietà. È tuttora potente fuori dal nostro campo, e non manca di forza e di punti di appiglio nel nostro campo stesso. Guai a dimenticarlo. I fatti accaduti a Poznan ce lo ricordano, e ce lo ricordano con particolare energia”. L’attacco al “nemico” di classe manovrato dall’imperialismo occidentale fu un elemento costante delle sue argomentazioni. “Quanti fucili e mitra” – si chiede Togliatti – “si possono fare entrare in azione spendendo 125 milioni di dollari all’anno, quanti ne prevede il bilancio dello Stato americano, proprio per alimentare nei paesi più capitalistici, la violenza e la provocazione?”. Egli, inoltre, richiamava, tutti alla disciplina di partito, a debellare “confusione e disfattismo”. Avvertendo, affinché non sorgessero equivoci: “Dobbiamo esseri seri e prudenti nei nostri giudizi”¹ 

Si trattava di un ritorno indietro, quasi di un arroccamento attorno alla cittadella del Marxismo ora gravemente minacciata. Senonché, sottolinea Paolo Spriano, c’era di nuovo che “sia in Polonia, sia nell’autunno in Ungheria… a schierarsi contro il partito comunista non erano le vecchie classi dirigenti spodestate…; erano gli operai polacchi, gli operai ungheresi, a insorgere contro il partito comunista, almeno quel partito comunista”. Questa verità però “doveva” essere ignorata, anche dal leader del Partito comunista italiano, il quale tenne un atteggiamento “più conservatore di quanto molti di noi pensavano sarebbe stato”. La via italiana, il policentrismo, per decollare realmente dovevano basarsi su un’indefinita fase di coesistenza pacifica fra i due blocchi e non di scontro come invece si veniva delineando. In questa fase, infatti, la ricerca di qualche autonomia dal Cremlino significava, alla luce delle stesse analisi proposte da Togliatti, inseguire una chimera; di più, equivaleva a sguarnire il campo socialista, a schierarsi col nemico. Per questo diventarono intollerabili le critiche alla linea.

In questo senso è possibile spiegare le posizioni assunte allora dal PCI: “La tesi che bisognava difendersi dalla provocazione, dagli agenti della controrivoluzione, ecc.; una posizione molto conservatrice”¹. Tutto questo per evitare che esse risultino incomprensibili visto soprattutto che settori importanti dei partiti comunisti dell’Europa dell’Est, in un certo senso e tra difficoltà enormi, esprimevano l’esigenza di una ricerca autonoma nella costruzione del socialismo, vale a dire la stessa esigenza che, ovviamente in una situazione totalmente differente, il PCI rivendicava per se stesso in Italia. Significativamente l’editoriale di Togliatti fu ristampato integralmente dalla “Pravda” il 4 luglio. Il gioco di equilibrio della stampa comunista continua il 6 luglio con la pubblicazione di un significativo commento dell’organo ufficiale del POUP “Tribuna Ludu” in cui si riconosce che alla base della manifestazione di Poznan vi erano effettivi motivi di malcontento ma che essa “era degenerata ad opera di provocatori”.

L’articolo è fortemente autocritico ed accoglie la sostanza dei rilievi mossi da Di Vittorio nella sua dichiarazione del 1° luglio. “Bisogna accettare questa critica amichevole e formulare in modo ancora più aspro l’autocritica” si afferma, e ancora “Noi non siamo ancora giunti a ciò che il compagno Di Vittorio chiama: “determinare l’accordo con gli operai” i limiti dei sacrifici fatti in nome dell’avvenire. È da questa divergenza che è nata una tensione fra il partito e la classe operaia, la quale ha indebolito i legami che uniscono l’uno all’altra”¹. L’organo comunista sottolinea, commentando l’articolo del quotidiano polacco sia lo svolgimento di un “ampio esame autocritico” in corso nel POUP, sia i “positivi commenti alla dichiarazione di Di Vittorio”. “L’Unità” quasi a bilanciare queste aperture con una mossa dettata dai canoni più classici della politique politicienne ritorna su posizioni nettamente conservatrici in un editoriale firmato da Ottavio Pastore. Il giornalista arriva a spiegare che il fine dei manifestanti era “quello di riportare in Polonia gli aristocratici, i grandi proprietari di terra, di ridare le fabbriche ai capitalisti polacchi e stranieri”¹.

Mentre tutta la Polonia era percorsa da spinte per mutamenti sempre più profondi si giunse alla riunione del VII Plenum del Comitato centrale del POUP svoltasi dal 18 al 28 luglio 1956 che vide uno scontro importante e significativo. Tutte le forze erano ormai schierate. Anche Bulganin e Zukov, in rappresentanza della dirigenza sovietica, raggiunsero la capitale polacca con la promessa di un aiuto di venticinque milioni di dollari e decisi a chiedere misure concrete contro quelle che a Mosca venivano definite “spinte antisocialiste e antisovietiche” alimentate addirittura dalla stampa comunista. I “natoliniani” si sentivano più forti e si schierarono per bloccare il processo di democratizzazione così da ristabilire al più presto il vecchio ordine. Proposero una serie di misure demagogiche che avevano il suo punto cardine nella proposta di immediati aumenti salariali. Si pronunciarono per un’epurazione che avrebbe dovuto riguardare, però, più che gli uomini che si erano compromessi durante il periodo dello stalinismo, un gruppo di quadri dirigenti di origine ebraica in nome della salvaguardia dei “caratteri” e dei “valori nazionali”. Come già si era fatto nel passato si tentava di strumentalizzare i diffusi sentimenti antisemiti per indirizzare il malcontento popolare il più possibile lontano dai gruppi dirigenti. Dopo di che si dichiarava in modo demagogico la propria disponibilità a reintegrare Gomulka nell’Ufficio politico.

II VII Plenum si concluse con una soluzione di compromesso per quel che riguardava i tempi e le modalità della politica di democratizzazione, ma di fatto con la riabilitazione di Gomulka. Quest’ultimo godeva di una grande popolarità soprattutto perché era stato una vittima dello stalinismo e sembrava la sola personalità politica capace di riconquistare la fiducia del paese. Si era ancora tuttavia ben lontani da una soluzione della crisi, e le pressioni e le agitazioni si intensificavano². La tensione crebbe di nuovo, alla fine di settembre, in occasione del processo ai manifestanti di Poznan. Per la prima volta le sedute del tribunale furono rese pubbliche e gli accusati e i loro avvocati poterono esprimersi liberamente in quella sede. Durante il processo non esitarono a denunciare il regime, i suoi metodi e la sua incapacità a risolvere i veri problemi. Si constatò che il clima era mutato quando si arrivò al verdetto: le sentenze pronunciate furono clementi, in quanto il potere cercava palesemente di evitare nuovi disordini evitando di criminalizzare la protesta del mondo operaio²¹. Per l’establishment polacco risultava decisivo modificare l’atteggiamento dei sovietici. Da qui l’iniziativa dispiegata da Ochab per ottenere all’interno del movimento comunista internazionale, e soprattutto presso gli Jugoslavi e i Cinesi i sostegni necessari.

Quando il segretario del POUP si recò a Pechino come capo della delegazione polacca al Congresso del Partito comunista cinese ricevette cauti incoraggiamenti a seguire una politica più indipendente da quella dell’Urss. In ottobre la tensione che esisteva nel partito comunista polacco e nel paese in generale, era tale che se non fossero stati presi drastici provvedimenti, una grave esplosione sarebbe stata inevitabile. L’idea di sfruttare il prestigio di Gomulka senza affidargli la direzione del Partito dovette essere abbandonata, perché egli affermò a più riprese che si sarebbe rifiutato di entrare a far parte degli organi centrali del POUP se non fosse stato nominato Primo Segretario. Gomulka esigeva anche che venissero estromessi dal Politburo coloro che appartenevano al gruppo di “Natolin” e il maresciallo Rokossovskij, il generale sovietico che fin dal 1949 era Ministro della difesa in Polonia. Queste erano richieste molto serie e l’ultima di esse, in particolare, evocava lo spettro di un intervento militare dell’Urss. La maggioranza dei dirigenti polacchi, comunque, compresi alcuni degli stalinisti più dogmatici, si convinsero che questo era un rischio da affrontare. Il 13 ottobre il Comitato centrale del POUP alla presenza di Gomulka elaborò un vasto programma di riforme da far ratificare durante l’VIII Plenum che si sarebbe dovuto riunire il 19 ottobre. Una parte del gruppo dei “Natoliniani” insorse e uno di loro, Mazur, che si trovava a Mosca, viene incaricato di avvertire subito Molotov, che ne approfitta per denunciare in seno alla direzione del Partito sovietico i pericoli della destalinizzazione. Lo stesso Krusciov si crede ingannato. Il leader sovietico sosteneva, secondo quanto affermato Miciunovich, che quanti in Polonia guardavano con interesse all’autogestione jugoslava, volevano in realtà “passare all’occidente e disintegrare il campo socialista” con l’aiuto degli Stati Uniti²².

Se queste erano le dichiarazioni che si facevano a Mosca, non stupisce certamente che nelle ore immediatamente precedenti l’inizio dei lavori dell’VIII Plenum fosse giunta a Varsavia il 19 ottobre una delegazione sovietica composta da Krusciov, Mikoyan, Molotov, Kaganovich, nonché dal maresciallo Konev, comandante in capo del Patto di Varsavia. Il Comitato centrale polacco interruppe i suoi lavori per permettere ad una sua rappresentanza guidata da Ochab e Gomulka di trattare con i dirigenti del Kremlino. Pare che alla vista di Gomulka, Krusciov affermasse: “Che ci fa qui questo agente degli imperialisti di Wall Street?”²³. Si ebbe la percezione che nella crisi polacca fosse subentrata la svolta decisiva quando Ochab all’apertura dei lavori dell’VIII Plenum disse che I’Ufficio politico aveva deciso di proporre che il Comitato centrale, “ancora prima di discutere il progetto di risoluzione sulle questioni attuali politiche ed economiche” chiamasse a far parte dell’organismo stesso “i compagni Gomulka, Spychalski, Kliszko e Loga- Sowinski”, in modo che “questi compagni possano prendere parte alla discussione del comitato centrale e agli incontri con la delegazione sovietica appena giunta a Varsavia”².

Il movimento riformatore polacco effettuò la sua prova di forza nella memorabile notte tra il 19 e il 20 ottobre 1956, quando “nessuno a Varsavia dormì”, nel corso della quale il riabilitato Gomulka riuscì a far capire all’establishment sovietico che la soluzione politica da lui rappresentata era la sola ed unica in grado di salvaguardare le basi stesse del regime. Il leader polacco rassicurò i sovietici sul mantenimento del regime socialista e sulle alleanze con l’Urss e gli altri paesi dell’Est europeo. La sua personalità politica era perfettamente funzionale alla soluzione della crisi, la sua lealtà marxista-leninista non poteva essere messa in discussione; la sua fedeltà all’Unione Sovietica era anch’essa sicura, Krusciov si era dovuto battere contro forze scatenate dalla sua stessa azione politica e in Polonia era riuscito a trovare una soluzione pacifica della crisi grazie all’emergere all’interno del POUP, di dirigenti come Gomulka attenti alle sensibilità nazionali ma che non erano favorevoli ad una ridiscussione delle relazioni con l’Urss che rimaneva tra l’altro la principale garante della stabilità delle frontiere occidentali polacche².

I sovietici accettarono il leader polacco come una scorta di male minore, come sostiene Fejtò, rendendosi conto in un secondo tempo, dopo lo scoppio il 23 ottobre dell’insurrezione ungherese della “insperata fortuna che esistesse in Polonia un’opposizione organizzata con la quale era possibile un ragionevole compromesso” ². L’“Ottobre polacco” rivelava un’importante caratteristica del sistema socialista: l’apparenza di trasformazioni strutturali, profondamente incisiva ma contraddetta dalla sostanziale impossibilità di sradicare il sentimento nazionale e le tradizioni politico-economiche locali. Il dominio di Mosca era una realtà superficiale costruita su un apparato burocratico che non si era inserito nella vita sociale. La nota formula delle “vie nazionali al socialismo” cercava in parte di ricondurre questa diversità a una matrice unitaria.

Comunque se si esce davvero dagli schemi propagandistici della “guerra fredda” che dovrebbero apparirci anacronistici, non si può ridurre l’esperienza dei governi comunisti dell’est europeo a semplice violenza esercitata in popolazioni recalcitranti o ad arbitraria imposizione di un’ideologia preconcetta per di più venuta dall’esterno². Il “comunismo” non può essere continuamente dipinto da alcuni come una specie di Grand Guignol; ciò può forse esorcizzare lo “spettro” di marxiana memoria, ma non ci farà mai capire perché quel fenomeno ha avuto tanto peso e tanta diffusione né perché conserva un richiamo ideale. Il dibattito avvenuto all’VIII Plenum del POUP e le convulse trattative polacco-sovietiche di quei giorni rappresentano ancora una fonte fondamentale per individuare da un lato le forme e i metodi della obsoleta politica di asservimento, e dall’altro, insieme alle radici e alle ragioni della spinta che ha portato, con Gomulka, al ritorno della politica del socialismo nazionale, i limiti riformistici kruscioviani.

Bisogna sottolineare qui le ragioni che avevano determinato in Polonia un clima del tutto particolare attorno alla politica di stalinizzazione. Nel 1947-48 la rottura della grande coalizione antifascista e l’aprirsi della guerra fredda avevano riproposto per lo stato polacco la questione della difesa (di fronte al risorgente revanscismo tedesco e al mancato riconoscimento dei confini dell’Oder-Neisse), della identità stessa della nazione, ed era diventato inevitabile, non solo per i comunisti polacchi ma per la società nel suo complesso, guardare all’Unione Sovietica come al solo paese che poteva garantire stabilità e sicurezza. Persino gli episodi più clamorosi della “stalinizzazione” dello Stato, come la collocazione alla guida del dicastero della difesa del maresciallo sovietico Rokossovski, finirono così per essere se non accettati almeno visti come espressione di una situazione del tutto unica, perché caratterizzata dal fatto che ormai la sicurezza della Polonia finiva quasi per identificarsi con la difesa dell’Urss. Ma i grandi avvenimenti del 1955 e poi del 1956, nel momento in cui si aprivano prospettive di distensione, fecero vacillare questa sostanziale identificazione tra gli interessi della Polonia e quelli dell’Unione Sovietica. Così maturò insieme l’Ottobre polacco come battaglia per l’indipendenza nazionale e la risposta dei dirigenti del Kremlino diretta a salvaguardare le vecchie posizioni di comando e di controllo². In ogni caso quel che era avvenuto a Varsavia dimostrava in modo lampante che con la vecchia metodologia era ormai impossibile.

Dopo che la delegazione sovietica tornò a Mosca l’VIII Plenum del Comitato Centrale riprende i suoi lavori. I delegati vengono informati sullo svolgimento dei negoziati con i “compagni sovietici”, i dirigenti rispondono alle interpellanze relative alla minaccia di putch da parte dei “natoliniani” e ai movimenti delle truppe sovietiche. Rokossowski membro del Politburo polacco e ministro della Difesa, dichiara di aver chiesto a Konev che vengano richiamate e ritirate nelle loro guarnigioni². Dopo questo tempestoso dibattito Gomulka pronunciò il suo celebre discorso che viene direttamente trasmesso per radio. L’intervento del leader del POUP è allo stesso tempo una requisitoria e un programma con cui traccia le nuove vie della politica polacca. Passando rapidamente in rassegna i tristi avvenimenti degli ultimi sette anni (quando credeva di parlare per l’ultima volta della sua vita davanti al Comitato centrale), attaccò senza preamboli la propagandistica presentazione della situazione socioeconomica del paese. Successivamente prese a parlare della “lezione di Poznan”, replicando a quanti nei giorni immediatamente successivi agli incidenti li avevano demagogicamente attribuiti all’attività di diversione delle dell’imperialismo; Gomulka evidenziò che la classe operaia polacca, “che non ha mai fatto ricorso senza riflettere all’arma dello sciopero”, era insorta perché da parte del centrali potere “si era superata la misura”, cosa che nessun governo può mai fare impunemente. “Le cause della tragedia di Poznan” – secondo il Segretario del POUP – “e del profondo scontento della classe operaia si trovano presso di noi, in seno alla direzione del partito, in seno al governo. A Poznan il sangue non sarebbe scorso se il partito o meglio i suoi dirigenti avessero detto la verità”

Ed ecco la parte fondamentale del suo pensiero sulla via polacca al socialismo: “Il dato invariante del socialismo si riduce solo alla soppressione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. (…) Il modello del socialismo può cambiare. Può essere come quello creato in Unione Sovietica; come quello che possiamo vedere in Jugoslavia; e può essere ancora diverso”. Il capitolo successivo del discorso era dedicato alla liquidazione del “culto della personalità” attuato in un periodo “di provocazioni, di sangue, di carcerazioni e di sofferenze inflitte a persone innocenti”. Quindi Gomulka rassicurava l’Urss affermando: “non permetteremo a nessuno di trarre profitto dal processo di democratizzazione a spese del socialismo. A capo di questo processo si trova il nostro partito”³. Il nuovo leader polacco annunciò che i contadini avrebbero avuto la possibilità di uscire dalle cooperative, e che la libertà religiosa sarebbe stata rispettata, a patto che la chiesa sostenesse il potere popolare. Effettivamente, il 21 ottobre, il cardinale Wyszynski veniva rimesso in libertà rientrando a Varsavia. Poco dopo, una commissione mista Chiesa-Stato si mise al lavoro per risolvere i problemi in sospeso³¹. Il 21 ottobre Gomulka venne eletto per acclamazione dal Comitato Centrale, Segretario generale. Il maresciallo Rokossowski fu estromesso dal Politburo e pochi giorni dopo diede le dimissioni da Ministro della Difesa rientrando definitivamente in Unione Sovietica.

Esaminando gli atti congressuali dell’VIII Plenum si riesce a capire come e perché la crisi polacca si sia svolta e risolta non soltanto evitando una tragedia ma dando vita ad uno dei momenti più significativi di incontro tra società e potere dirigenziale delle democrazie popolari. Il documento permette di evidenziare insieme ai contrasti e alle contraddizioni della società e del partito, anche le opinioni diverse sul modo di come affrontare i problemi del paese. La parola dalla tribuna congressuale viene dai rappresentanti dei vari organismi e delle parti sociali, e quello che viene alla luce è la pluralità degli interessi e delle voci presenti all’interno del massimo organismo direttivo del POUP.  È necessario ricordare come la stessa parola “discussione”, storicamente legata ai grandi dibattiti degli anni Venti, è pressoché assente dall’ethos linguistico politico del socialismo reale. Un documento ufficiale come questo dell’VIII Plenum è utile proprio perché ci permette di individuare all’interno dell’apparato diverse linee di tendenza. I riformatori si identificano, come si può rivelare dai loro interventi pronunciati durante il Plenum, per l’entusiasmo col quale sostennero Gomulka; per l’importanza e il ruolo di svolta attribuito al XX del PCUS; per la chiarezza con la quale proclamarono l’esigenza di apportare delle significative correzioni al sistema politico dello stalinismo, affermatosi in Polonia dal 1948 in poi³². In polemica aperta con i principi della pianificazione staliniana “i riformatori” si fecero promotori di una riforma dell’economia in modo da avviare un reale processo di trasformazione.

In particolare è interessante notare quello che fu proposto sull’autogestione, sul mercato e sul ruolo sindacato. Il discorso pronunciato da Jaroszewicz su queste tematiche è indubbiamente costruttivo. “L’esperienza dimostra” – sottolinea l’esponente “riformatore” -“che le attuali forme di organizzazione non creano condizioni favorevoli ad uno sviluppo della democrazia operaia. Ritengo che dovremmo pronunciarci in linea di principio per la creazione di speciali organi dell’autogestione operaia mettendo in luce al tempo stesso il ruolo dei Consigli di impresa quali istanze sindacali che devono anzitutto occuparsi dei bisogni sociali e delle condizioni di vita e culturali degli operai”³³. Nel dibattito congressuale veniva prestata una particolare attenzione all’esperienza jugoslava. Daniszewski, uno dei componenti della delegazione del POUP che aveva visitato la Jugoslavia, affermò: “Dopo aver visto da vicino l’organizzazione e il funzionamento dell’autogestione operaia nelle grandi imprese industriali di Rado Kocar e in alcune fabbriche ci siamo convinti ancora di più che questa è una via giusta”³. Gli interventi degli esponenti più “conservatori” denotano uno stato di disagio dovuto principalmente all’impostazione autocritica presente nei loro discorsi. Era sicuramente necessario, sostenevano, introdurre modifiche a riforme assai ardite. In ogni caso però occorreva opporsi: “ai tentativi di fare degenerare il processo di democratizzazione riempiendolo di contenuti estranei”. I “contenuti estranei”, venivano individuati, in primo luogo, nelle proposte riguardanti le modifiche da apportare nel campo dei rapporti con I’Urss e del sistema politico. Questi argomenti sono stati sempre affrontati in modo dimesso in quanto la pressione proveniente da tutti gli strati Sociali polacchi era sensibile, ed era evidentemente impossibile non tenerne conto³.

I comunisti polacchi, stretti fra le pressioni della società e dall’Urss, sceglievano con esponenti come Ochab e Gomulka, la strada della difesa dell’autonomia e lo facevano con estrema fermezza unita ad un elevato senso di responsabilità. Seguendo questa linea di condotta riuscirono a superare la crisi e a presentarsi come forza di rinnovamento per cui, alla conclusione, di quella che l’annunciatore di Radio Varsavia definì felicemente “la primavera d’ottobre”, un comunista, Gomulka, poté legittimamente proclamarsi rappresentante di tutta la nazione³. Paradossalmente, osserva Flores, erano i membri del POUP ad apparire alla guida di un movimento nazionale; ed era la ricerca di una maggiore indipendenza e autonomia da Mosca che aiutava la nuova Nomenklatura ad ottenere una piena legittimazione nel paese trovando un diffuso consenso³. Il leader polacco appariva antistalinista e antiburocratico alle masse polacche perché dello stalinismo era stato vittima, ma in realtà non era mai arrivato a mettere in discussione la logica di fondo del monopolio del potere da parte del Partito comunista, e del funzionamento della struttura-partito secondo metodologie staliniane in cui ogni partecipazione reale della base alle decisioni prese è praticamente inesistente lasciando queste ultime alla totale responsabilità di un vertice burocratico che si rinnova per cooptazione. Comunque il sistema stalinista nelle sue forme più oppressive era stato definitivamente affossato³.

Il 23 ottobre, mentre a Mosca il Plenum polacco aveva provocato “quasi il panico”, Gomulka lesse davanti ad un’immensa folla il telegramma di felicitazioni che il Segretario del PCUS gli aveva appena inviato e con il quale gli annunciava il ritiro delle truppe sovietiche³. La soluzione polacca, liberò l’Urss da un compito che aveva costituito, anche ai tempi di Stalin, un peso intollerabile: quello di sorvegliare in ogni minimo dettaglio la politica dei paesi satelliti, decidendo, ogni volta che si verificava un contrasto all’interno del partito, se un determinato dirigente doveva essere allontanato dal potere. Nella sostanza i sovietici continuarono a esercitare la loro influenza, ma la forma con cui questo avveniva divenne più tollerabile per i partiti e per tutti i diversi settori della popolazione. Così, almeno teoricamente, furono poste le basi di un’autentica comunità fra i paesi socialisti. Non è sorprendente che Krusciov abbia finito col considerare il fatto di avere accettato Gomulka come uno dei maggiori successi della propria politica estera⁴⁰. Secondo il giudizio espresso dall’economista polacco Brus il bilancio positivo dell’ “Ottobre” può essere schematizzato in tre fattori: “il passaggio dal terrore preventivo di massa a quello che si può definire terrore selettivo”, la restaurazione del principio di legalità; “le relazioni con l’Urss sono state istituzionalizzate, e quindi soggette più alla norma che non all’arbitrio come avveniva ai tempi di Stalin”, “in campo economico il cambiamento più importante è il maggiore spazio accordato ai consumi”¹. Lo storico Fejtò definisce invece l’ottobre polacco una “rivoluzione imbrigliata”².

Agli avvenimenti polacchi la stampa comunista dedicherà un’attenzione discontinua e contraddittoria. Di fronte all’evoluzione dei fatti che si susseguono a Varsavia la posizione propagandistica dell’organo ufficiale del PCI è la consueta, dapprima la situazione è normale, non succede nulla di sensazionale. “L’Unità”  pubblica l’uno accanto all’altro i testi della stampa sovietica e di quella polacca in aperta polemica tra di loro. Non si farà alcun accenno al Plenum del POUP interrotto da un improvviso viaggio a Varsavia della dirigenza del Kremlino. Il quotidiano comunista registrerà con sorpresa il 20 ottobre che Gomulka “veniva riammesso nel C.C.”, e che il giorno dopo era stato addirittura eletto: “Primo segretario del POUP”. Franco Fabiani, corrispondente dell’“Unità” dalla Polonia, citava “Trybuna Ludu”, sostenendo che: “Per la prima volta da molti anni è stato stabilito tra la più alta istanza del partito e le masse del popolo lavoratore un contatto tanto vicino, quanto caldo”. Il 21 ottobre sempre l’organo ufficiale del PCI, pubblicava senza commento, una significativa dichiarazione di Gomulka relativa ai fatti di Poznan in cui si affermava: “gli operai di Poznan non hanno protestato contro il potere popolare, contro il socialismo, quando sono usciti nelle strade: essi hanno protestato contro il male che si è esteso largamente nel nostro regime sociale, contro la deformazione dei principi fondamentali del socialismo, che è la loro idea. Una grande ingenuità politica sarebbe il tentativo di presentare la tragedia di Poznan come opera di agenti imperialisti e di provocatori”. 

La vittoria di Gomulka viene vista dalla stampa comunista come un ovvio progresso sulla via polacca al socialismo, nel senso auspicato dal Partito comunista italiano”⁴⁴. Il 13 ottobre quando compare l’importante editoriale di Ingrao sull’“Unità”, il partito può guardare con rinnovato ottimismo alla Polonia, per di più adottando l’esempio polacco come primo caso di un paese in grado di muoversi in modo deciso e coerente secondo quanto è scaturito dalle risoluzioni elaborate dal XX Congresso del PCUS dalla linea delle vie nazionali. D’ora in avanti la Polonia diverrà un importante risorsa simbolica, e i fatti di Ungheria accelereranno questo processo⁴⁵.

NOTE

*Gli articoli della stampa comunista evidenziati in neretto costituiscono la principale fonte documentaria di questa ricerca.

¹   Vedi K. KBRSTEN, L’instaurazione e lo sviluppo dello stalinismo in Polonia (1944-1957), in A. NATOLI – S. PONS (a cura di), L’età dello stalinismo, Roma, Editori Riuniti, 1991, pp. 321-332.

²   A. PACZKOWSKI, Polonia nazione “nemica”, in COURTOIS – WERTH –PANNE – PACZKOWSKI – BARTOSEK – MARGOLIN, II libro nero del comunismo, Milano, Mondadori, 1998, pp. 350-359.

³   Vedi A. BLAGINI- F. GUIDA, Mezzo secolo di socialismo reale, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 72-75.

  A. FONTAINE, Storia della guerra fredda, volume II, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 236-238.

  L. NAGY, Democrazie popolari 1945-1968, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 195-197.

  M. FLORES, 1956, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 47-49.

  H. BOGDAN, Storia dei paesi dell’Est, Torino, Sei, 1991, pp. 398-399. V. SANSONE, Dibattito in Polonia sul XX Congresso del PCUS e le esperienze della via polacca al socialismo, V. SANSONE, Czyrankiewicz indica nel Marxismo creatore la strada di sviluppo della cultura in Polonia, V. SANSONE, Gomulka riabilitato da accuse infondate e rimesso in libertà da oltre un anno, V. SANSONE, I salari di centinaia di migliaia di lavoratori aumenteranno in Polonia a partire dal 1° maggio, V. SANSONE, Richiesta del Parlamento polacco per rafforzare la legalità socialista, V. SANSONE, Larga amnistia allo studio in Polonia, V. SANSONE, Il Parlamento popolare in Polonia controllerà gli altri organi dello stato, “L’Unità”, 29 marzo, 3,7, 8, 21, 23, 25 aprile 1956.

  E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Bari, Laterza, 1994, pp. 864-865.

  F. FEITO, Storia delle democrazie popolari. Il dopo Stalin. 1953-1971, volume II, Milano, Bompiani, 1977, p.72.

¹   Vedi W. BRUS, Storia economica dell’Europa orientale (1950-1980), Roma Editori Riuniti, 1983, p. 74.

¹¹   V. MICIUNOVICH, Diario del Cremlino, Milano, Bompiani, 1979, p. 74.

¹²   V. SANSONE, Gravi disordini nella città polacca di Poznan in seguito ad attacchi contro le sedi del potere popolare, –, A che cosa mirava la provocazione, V. SANSONE, Il lavoro è ripreso nella città polacca di Poznan. Isolati i provocatori dei sanguinosi incidenti di Giovedi, V. SANSONE, L’inviato dell’”Unità” a Poznan ha parlato con gli operai della Zispo, Noi non rinunceremo ad avanzare sulla Via della democratizzazione, M. FERRARA, Sangue polacco, V. SANSONE, Seguiamo l’itinerario della provocazione a Poznan tornata ormai alla normalità, V. SANSONE, L’80 per cento degli operai della “W3” erano in fabbrica prima di mezzogiorno, V. SANSONE, In risposta alle insultanti offerte USA di “elemosine”, la Polonia propone invece scambi su base reciproca, “L’Unità”, 29, 30, giugno; 1, 2, 3, 6 luglio 1956.

¹³   –, La dichiarazione di Di Vittorio, “L’Unità”, 2luglio 1956. Il testo della dichiarazione è stato pubblicato anche in M. PISTILLO, Giuseppe Di Vittorio 1944-1957, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 318-319.

¹   –, I nostalgici di Pilsudski, “L’Unità”, 1 luglio 1956

¹   P. TOGLIATTI, La presenza del nemico, “L’Unità”, 3 luglio 1956. L’editoriale del Segretario del PCI è stato pubblicato anche in P. TOGLIATTI, Problemi del movimento operaio internazionale (1956-1961), Roma Editori Riuniti, 1962, pp. 171-174.

¹   P. SPRIANO, Intervista sulla storia del PCI, cit., p. 203.

¹   V. SANSONE, Le cause dei fatti di Poznan in un articolo diTrybuna Ludu”, –, L’ex presidente del governo polacco di Londra dichiara che a Poznan ci fu una provocazione, –, Due lettere sui fatti di Poznan ai laburisti inglesi e all’“Avanti”, S. SEGRE, Catturate nella RDT spie americane implicate negli avvenimenti di Poznan, V. SPANO, Le tecniche della provocazione, V. SANSONE, Ferma risposta di “Trybuna Ludu” ai Revisionisti della Germania di Bonn, –, Lettera di Cyriankiewicz sugli incidenti di Poznan,–, La Pravda denuncia la nuova offensiva imperialista diretta contro la solidarietà operaia internazionale, Procede in Polonia il decentramento economico mentre si sviluppa la discussione sui sindacati, V. SANSONE, Le prime risultanze dell’istruttoria sulla sanguinosa provocazione di Poznan, S. SEGRE, Piano di Lange per elevare il tenore di vita in Polonia, V. SANSONE, I salari in Polonia aumenteranno del 30% col nuovo piano. Critica agli errori che hanno permesso i fatti di Poznan, S. SEGRE, Intervistiamo a Varsavia i dirigenti del “Propostu” il giornale di un gruppo di intellettuali polacchi, S. SEGRE, Bulganin interviene alla celebrazione della festa della Repubblica polacca, S. SEGRE, Bulganin e Zukov garantiscono alla Polonia l’intangibilità delle sue frontiere occidentali, –, La Pravda sollecita comprensione tra le forze sociali nel mondo, S. SEGRE, Una parte delle industrie belliche riconvertite a fini civili in Polonia, S. SEGRE, I problemi e le prospettive della Polonia socialista, S. SEGRE, Il capo dei sindacati polacchi ci parla dei rapporti fra operai e direzioni d’azienda, “L’Unità, 7, 8, 9, 11, 12, 14, 17, 18, 20, 21, 22, 27, 31 luglio; 1,5, 7 agosto 1956.

¹   O. PASTORE, Poznan e Algeri, “L’Unità”, 10 luglio 1956.

²   Vedi A. GUERRA, II giorno che Chruscev parlò, Roma, Editori Riuniti, 1986, pp. 158-161.

²¹   F. FABIANI, Aperti a Poznan i due primi processi per gli assassini e le violenze del 28 giugno, F. FABIANI, L’assalto alla sede della polizia rievocato dagli imputati a Poznan, F. FABIANI, Forse Venerdì la sentenza di uno dei processi per Poznan, F. FABIANI, Il P.M. chiede dieci anni per gli imputati di assassinio, F. FABIANI, L’imputato Wierbicki definito un “anormale” da suo fratello, –, È cominciato il terso processo per i luttuosi fatti di Poznan, F. FABIANI, Gli imputati di Poznan ammettono di aver partecipato a gravi violenze, F. FABIANI, Si è concluso con miti condanne il primo dei processi di Poznan, F. FABLANI, II processo a Poznan contro il gruppo dei 9, “L’Unità”, 28, 29 settembre; 2, 3, 4, 6, 7,9, 10 ottobre 1956.

²²   Vedi V. MICIUNOVICH, Diario del Cremlino, cit., p. 87.

²³   F. FEJTO, Storia delle democrazie popolari. Il dopo Stalin 1953-1971, volume II, cit., pp. 84-86.

²   Vedi L’Ottavo Plenum del Comitato Centrale del Partito Operaio unificato polacco 1957, pp. 21-26.

²   Vedi F. M. CATALUCCIO, “L’Ottobre polacco”. Una storia ancora da scrivere, in Ripensare il 1956, Annali della Fondazione Giacomo Brodolini, Roma, Lerici, 1987, pp. 125-137.

²   F. FEJTO, Storia delle democrazie popolari. Il dopo Stalin. 1953-1971, volume II, cit., p. 85.

²   G. BOFFA, L’ultima illusione. L’Occidente e la vittoria sul comunismo, Bari, Laterza, 1997, p. 109.

²   Vedi A. GUERRA, Da Stalin a Gorbaciov, in F. ARGENTIERI, (a cura di), La fine del blocco sovietico, Firenze, Ponte alle Grazie, 1991, pp. 31-33.

²   Vedi L’Ottavo Plenum del Comitato Centrale del Partito Operaio Unificato Polacco, cit., pp. 26-32.

³   Vedi L’Ottavo Plenum del Comitato Centrale del Partito Operaio Unificato Polacco, cit., pp. 33-72.

³¹   S. MARKIEWCZ, Stato e Chiesa in Polonia, Padova, Marsilio, 1967, pp. 57-61. Sui rapporti fra Stato e Chiesa in Polonia vedi anche il testo di F. BERTONE, L’anomalia polacca. I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, Roma, Editori Riuniti, 1981.

³²   Su queste problematiche vedi gli interventi di Spychalski e Wudski in L’Ottavo Plenum del Comitato Centrale del Partito Operaio Unificato Polacco, cit, pp. 397-405 e pp. 94-103.

³³   Vedi L’Ottavo Plenum del Comitato Centrale del Partito Operaio Unificato Polacco, cit., pp. 82-94.

³   Vedi L’Ottavo Plenum del Comitato Centrale del Partito Operaio Unificato Polacco, cit., pp. 159-168.

³   A questo proposito vedi gli interventi di Berman e Minc in L’Ottavo Plenum del Comitato Centrale del Partito Operaio Unificato Polacco, cit., pp. 137-153 e pp. 191-209.

³   A. GUERRA, Il giorno che Chruscev parlò, cit., pp. 169-171.

³   Vedi M. FLORES, 1956, cit., pp. 62-63.

³   A. MOSCATO, Ungheria e Polonia di fronte al XX Congresso, in F. GORI (a cura di), Il XX Congresso del PCUS, Milano, Angeli, 1988, pp. 315-316.

³   V. MICIUNOVICH, Diario dal Cremlino, cit, p. 133.

⁴⁰   A. B. ULAM, Storia della politica estera sovietica (1917-1967), Milano, Rizzoli, 1970, pp. 850-852.

¹   W. BRUS, Perché vive ancora l’ottobre polacco, “La Repubblica”, 3 novembre 1976.

²   F. FEJTO, Storia delle democrazie popolari. Il dopo Stalin 1953-1971, volume II, cit., p. 117.

⁴⁴   F. FABIANI, Visita di Krusciov a Varsavia. Gomulka riammesso nel C.C., F. FABIANI, Gomulka proposto Primo segretario del POUP. Dibattito al C.C. e nel paese sulla democratizzazione, F. FABIANI, Importanti dichiarazioni di Cyrankiewicz sull’unità del Partito e l’amicizia con I’Urss, G. B., nessun commento della stampa sovietica, F. FABLANI, Oggi Cyrankiewicz e Gomulka parleranno al popolo polacco, S. SEGRE, Gomulka parla a Varsavia a 500 mila persone chiamando al lavoro comune per il socialismo, S. SEGRE, Oggi il compagno Gomulka parte per Mosca, –, Dichiarazioni di Scepilov sulla Polonia e L’Ungheria, –, Socialismo e democrazia in Polonia, S. SEGRE, Appello di Gomulka a Cyrankiewicz agli ungheresi Spychalski nuovo Ministro della Difesa in Polonia, S. SEGRE, La Polonia non chiederà all’Urss il ritiro delle truppe sovietiche, S. SEGRE, Gomulka annuncia che le richieste polacche hanno trovato piena comprensione nell’Urss, V. SANSONE, I consigli operai in Polonia, F. FABIANI, Un articolo del compagno Lange sulla svolta politica in Polonia, F. FABIANI, Accordo tra lo Stato e la Chiesa in Polonia, F. FABIANI, Firmato ieri a Varsavia l’accordo sullo status delle truppe sovietiche, F. FABIANI, Soddisfazione a Varsavia per I’accordo con i sovietici, “L’Unità”, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 30 ottobre; 2, 5, novembre; 2, 7, 8, 18, 19, dicembre 1956. –, Problemi posti dai fatti di Poznan, “Rinascita”, luglio 1956, pp. 402-404.

⁴⁵   P.INGRAO, Gli avvenimenti polacchi, “L’Unità”, 23 ottobre 1956.

*Responsabile del Centro studi della sinistra

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