Mannoni: Punta Giglio da salvare, ecco la verità su un progetto speculativo e commerciale in un’area di massima tutela

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Di Vindice Lecis

L’intervento che si vuole realizzare a Punta Giglio è puramente speculativo e si configura come una vera e propria attività commerciale che si inserisce, attraverso lo stabile insediamento umano, con tutti gli annessi e connessi che da ciò derivano, in un’area severamente tutelata dal Ppr e dai vincoli di promanazione europea, essendo il sito classificato come Sic (Sito di interesse comunitario) e Zps (Zona di tutela speciale per l’avifauna)”.

Per Carlo Mannoni – già assessore regionale ai Lavori pubblici e ai Beni culturali e vice presidente della giunta sarda dal 2004 al 2009 con presidente Soru, uno dei principali protagonisti della battaglia vinta per salvaguardare il colle di Tuvixeddu – l’operazione edilizia che sta procedendo tra le opposizioni dell’opinione pubblica più sensibile e il silenzio complice della politica di centrosinistra e di centrodestra è gravissima e va fermata.

Lei è riuscito a capire che cosa stia realizzando a Punta Giglio la cooperativa Quinto Elemento che ha ottenuto persino un finanziamento di Banca Etica? Spieghiamolo semplicemente.

A Punta Giglio si sta realizzando un puro investimento commerciale che ha come preponderante capitale di investimento, gratuitamente e graziosamente concesso dalle autorità pubbliche deputate, uno degli scorci naturali e panoramici costieri più belli del Mediterraneo. L’autorità pubblica principale è il Demanio dello Stato che ha concesso alla cooperativa Quinto Elemento per 18 anni con un bando pubblico, di fatto privatizzandola, un’area di 8 ettari sottoposta a severissimi vincoli paesaggistici e naturalistici, collocata sulla parte più delicata del promontorio, la falesia che si affaccia su Capo Caccia. Ci sono poi il Comune di Alghero, il Parco di Porto Conte e gli organi di tutela paesaggistica dello Stato e della Regione (Soprintendenza ai beni architettonici di Sassari e Ufficio provinciale di tutela del paesaggio), che da supremi soggetti tutori del sito ne hanno agevolato, ognuno nel proprio specifico ruolo, la privatizzazione, assecondando direttamente o indirettamente gli interventi previsti dalla cooperativa”.

Nel comprensorio ci sono i ruderi di una casermetta e altri manufatti. Che cosa è previsto nel progetto?

Nell’area, di per sé un gioiello naturalistico, da sempre amata e frequentata dalla comunità algherese che la considera di fatto come un suo “uso civico”, consolidato dalle  indisturbate frequentazioni per quasi un settantennio del sito, insistono alcuni manufatti militari della seconda guerra mondiale anch’essi concessi in uso alla cooperativa: si tratta della batteria costiera antiaerea costituita da 13 pezzi storici tra cui la casermetta alloggi di 400 metri quadri con relativo deposito che costituisce il pezzo forte e più ambìto della concessione. La casermetta verrà infatti trasformata e adibita a foresteria -albergo, anche con nuove volumetrie mediante un piano interrato realizzato al posto della fossa settica militare, con 20 posti letto, ristorante con 80-100 coperti in parte esterni, e una “piscina ludica” di 28 metri e di profondità incerta, oggetto di critiche e non pochi sarcasmi da parte di coloro che oggi contestano l’intervento. L’insediamento umano stabile non sarà neutrale perché verrà allacciato alla rete idrica e fognaria con una condotta di 4 chilometri seppure, come asserito dai proponenti, con uno scavo minimale, oltre agli impianti tecnologici di rito.

Tra le finalità dell’intervento, enfatizzata dalla cooperativa e dal Parco di Porto Conte, ci sarebbe anche quella della realizzazione di un “museo a cielo aperto”, che peraltro di fatto già esiste e che avrebbe bisogno di assai poco per ricreare nell’immaginazione del visitatore l’atmosfera vissuta dai soldati della seconda guerra mondiale che vi stazionarono per non poco tempo. Una sorta di cavallo di Troia l’idea del museo, di fatto incompatibile con l’uso alberghiero della casermetta e che verrà spazzata via dalla prima maestralata sul golfo di Capo Caccia.

La Banca Etica, che sostiene l’intervento con un suo finanziamento, da pura banca di credito ha analizzato la redditività dell’investimento ridipinto dalla cooperativa con sapienti pennellate di verde ecologista”.

Si tratta a suo parere di un progetto di pura speculazione o è soltanto “invasivo”?

L’intervento è puramente speculativo e si configura come una vera e propria attività commerciale che si inserisce, attraverso lo stabile insediamento umano, con tutti gli annessi e connessi che da ciò derivano, in un’area severamente tutelata dal Ppr e dai vincoli di promanazione europea, essendo il sito classificato come Sic (Sito di interesse comunitario) e Zps (Zona di tutela speciale per l’avifauna), in cui anche il profondo silenzio che lo caratterizza, interrotto solo dallo lo stormire delle fronde agitate dal vento, è tutelato e costituisce un valore inestimabile da preservare.

Per dargli presentabilità e visibilità si è cercato di farlo passare come un intervento di interesse pubblico attraverso l’alibi, come ho già detto, del “museo a cielo aperto” a cui non crede nessuno e che ha visto come principale sostenitore il Parco di Porto Conte che, tramite il suo direttore, nella conferenza dei servizi del Comune di Alghero del 2020 per il rilascio della concessione edilizia, ha presentato il progetto della cooperativa solo ed esclusivamente come  “museo a cielo aperto”, volutamente ignorando la reale finalità commerciale e speculativa dell’intervento e la sua destinazione a foresteria-ristorante. Come ha detto un noto, simpatico e autentico conoscitore delle cose algheresi, che conosce come nessun altro i colori e gli umori del golfo di Alghero, “le brande, ora 20, aumenteranno. Vedrete”. Segno che la ferita subita dal territorio non solo non si rimarginerà ma in seguito si allargherà”.

Possibile che un’operazione di puro cemento e di cosiddetta “urbanistica creativa” per usare un eufemismo possa essere avviata in un comprensorio di tale delicatezza e fragilità ambientale?

La risposta data da chi oggi si approcciasse per la prima volta alla “questione Punta Giglio” sarebbe quella di un “no” secco se non anche infastidito. Ad Alghero e dintorni l’urbanistica creativa è un endemismo non facile da estirpare e oggetto di severa e rigorosa osservanza da parte chi ha governato l’urbanistica algherese nel quarantennio del piano urbanistico attuale, tanto vecchio da essere stato superato anche dalla toponomastica urbanistica. Alghero non conosce infatti il termine Puc (Piano urbanistico comunale), perché per conoscerlo dovrebbe approvarlo e per farlo dovrebbe adeguarlo al Ppr. Per questo gli hanno girato tutti a largo, centrosinistra e centrodestra, come fosse un’allergia pruriginosa. Carlo Sechi, l’ex sindaco che negli anni 80 tentò di approvarlo, ci rimise il ruolo di sindaco che avrebbe forse ricoperto chissà per quanti anni ancora.

È stata paradossalmente la giunta comunale di centro sinistra che nel luglio 2017 ha avallato se non agevolato l’operazione su Punta Giglio, stipulando col Demanio dello Stato una convenzione che ha di fatto dato campo libero alla privatizzazione del sito. Riconoscere un errore commesso è una dote rara in politica e oggi l’ex sindaco Mario Bruno, che è nato come politico di respiro regionale nell’atmosfera del Ppr, non solo non chiede scusa ma paradossalmente è uno dei più decisi e ruvidi difensori dell’intervento.

La concessione non poteva essere attuata, così come a mio avviso non è attuabile oggi, per gli insuperabili vincoli urbanistici e paesaggistici esistenti sull’area da rendere addirittura improponibile il robusto intervento turistico imprenditoriale all’interno di un Parco naturale protetto come quello di Porto Conte. Il tutto certificato dal dirigente responsabile del settore urbanistico del Comune di allora, che aveva certificato che l’area era per buona parte classificata G2 (Parco urbano e comprensoriale) e per realizzare l’investimento occorreva un piano particolareggiato, improponibile senza il Puc adeguato al Ppr. Ma il Comune in quel frangente è rimasto sordo e si è andati avanti lo stesso e a vele spiegate, cosicché l’area, l’unica in Italia all’interno di un Parco naturale, è stata messa a bando. Accade così che la cooperativa milanese Quinto Elemento, costituitasi addirittura dopo la pubblicazione del bando e sorretta da ben 300 amici sostenitori e finanziatori, sbaraglia il campo dei 10 concorrenti (nessuna compagine sarda è presente  e nel caso mi pare un fatto positivo) con una proposta promossa a pieni voti (95 punti su 100) attraverso un processo valutativo in cui in cui il peso preponderante lo ha l’aspetto turistico imprenditoriale (70/100) a fronte di soli 15 punti riservati alla sostenibilità ambientale.

   È un tripudio per i membri della cooperativa, immortalati subito dopo l’esito della gara in una foto scattata nel sito in una sorta di abbraccio con un (forse) inconsapevole assessore algherese dell’epoca (siamo nel 2018).  Gioiscono, e ne hanno ben donde, per un intervento di 70 posti letto con l’aggiunta di unità mobili in stile bungalow, ristorante con 100 coperti e piscina ex novo. E come dargli torto”.

I vincoli ambientali e paesaggistici sono stati dunque aggirati?

Mi sono avvicinato alla “questione Punta Giglio” con una certa curiosità, spinto dalle prime e decise prese di posizione di due storici ambientalisti locali come Giovanni Oliva e Maria Antonietta Alivesi, quest’ultima fondatrice del gruppo su facebook “Alghero per Punta Giglio” con oltre 7000 iscritti, un’adesione a dir poco clamorosa nel sonnacchioso ambiente politico algherese. Gli incartamenti parevano in regola, con la ceralacca e i timbri d’ordinanza al loro posto a suggellare un iter definitivamente concluso, ma non era così. Coadiuvati da esperti di primissimo valore nella materia urbanistica e paesaggistica come l’architetto Tiziana Costa Langasco, ne è venuto fuori una sorta di pataracchio in chiave algherese in cui più di un passaggio, e non esagero, ha dell’incredibile.

La concessione edilizia è a mio parere illegittima sotto vari profili. Come ho già detto, occorreva un piano particolareggiato come avevano scritto i tecnici comunali nel 2017, ma impossibile da praticarsi senza il nuovo Puc. Ma in Comune non ci si è persi d’animo e i tecnici sono stati smentiti dai loro colleghi comunali del 2020 con la stupefacente motivazione che non era necessaria una variante urbanistica trattandosi della stessa destinazione d’uso del manufatto destinato a suo tempo ad alloggiare i soldati ora sostituiti dai turisti in transito. Insomma, un dormitorio come allora ma per fortuna senza divise e la condotta idrica e fognaria di 4 chilometri paragonata all’allaccio del nostro appartamento alla condotta fognaria e idrica cittadina che passa sotto casa.  Un prestigiatore provetto non avrebbe forse saputo fare di meglio.

C’è poi l’aspetto dell’autorizzazione paesaggistica che lascia perplessi. La Soprintendenza ai beni architettonici è stata attenta al “recupero funzionale” dei manufatti edilizi (la casermetta e gli altri pezzi della batteria costiera) e quindi al fatto culturale, ponendo una serie di tassative prescrizioni, ma distraendosi non poco, a mio avviso, sul contorno paesaggistico e le relative implicazioni dell’intrapresa, per cui il suo parere appare incongruo e addirittura disattento ai valori paesaggistici del luogo tutelato dal Ppr, inserito in un Parco Naturale e classificato come sito di interesse comunitario (Sic). È la stessa Soprintendenza che ha bocciato, in questi giorni, un intervento simile da realizzarsi a Sa Testa, nella costa olbiese, con la giusta motivazione che i ruderi ivi esistenti non si toccano perché l’area “è posizionata all’interno di un territorio di particolare pregio paesaggistico” tutelato dal Ppr tra le “baie, i promontori e le falesie”. Sa Testa non è in area Parco, ne è area Sic, ma l’ha scampata dalle mire dell’uomo che a lasciarlo fare urbanizzerebbe l’intero universo. Che aveva di meno Punta Giglio rispetto a l’area costiera di Sa Testa da scomparire paesaggisticamente dall’attento radar della Soprintendenza?”

Possibile che il comune di Alghero e gli enti preposti al controllo, dalla Forestale al Parco regionale sino alla soprintendenza stiano agendo con una colpevole leggerezza magari coperta da un puro formalismo di legittimità?

Come ho detto, i timbri e i sigilli sulla ceralacca apposti nel già voluminoso incartamento sono da considerarsi tutt’altro che rassicuranti. Torniamo all’autorizzazione paesaggistica che è assolutamente carente anche perché nel procedimento non si è espresso, come d’obbligo, l’Ufficio di Tutela del paesaggio di Sassari della Regione. Un’autorizzazione monca, quindi, con l’Ufficio di Tutela che dapprima collabora con la Soprintendenza e poi si sfila dal procedimento e non partecipa alla conferenza dei servizi autorizzativa dell’intervento con la motivazione che la competenza per quel tipo di autorizzazione è delegata al Comune di Alghero. I cui dirigenti e funzionari non si pongono neanche il problema e interpretano, a verbale, l’assenza dell’importante ufficio regionale come “silenzio assenso”. Con la fantasia al potere ne è derivato un procedimento illegittimo passato indenne a qualsiasi scrutinio nel silenzio più totale, dal quale risulta che la Regione si è espressa positivamente sul progetto pur non avendolo fatto in quanto dichiaratasi incompetente.

C’è poi il pseudo e grossolano formalismo giuridico della dirigenza del Parco, un formalismo di facciata che nella vicenda non è riuscito a nascondere una sostanza ben diversa. Grande sostenitrice dell’intervento dei privati, dapprima avversato a parole e poi sposato con pieno amore, la dirigenza è stata una insostituibile facilitatrice del progetto della Cooperativa. La perla della stessa dirigenza è stato il suo ruolo nell’approvazione della Zps (Zona di protezione ambientale dell’avifauna) predisposto nel 2020 in cui il Parco si è guardato bene di segnalare alla Regione l’intervento dei privati previsto nell’area, come avrebbe dovuto fare in base alle disposizioni europee e regionali. Ne è venuto fuori un piano di protezione Zps per il quale, per volontà del Parco, l’intervento della cooperativa Quinto Elemento neanche esiste. Un piano approvato, tra l’altro, dal solo consiglio di amministrazione del Parco e non dall’assemblea, coincidente col consiglio comunale algherese, che ha avuto notizia del piano approvato solo a cose fatte”.

Che cosa nasconde l’idea persistente della cosiddetta valorizzazione che è il propellente velenoso di ogni progetto edilizio-turistico sulle coste sarde?

L’idea è sempre la stessa da oltre quindici anni, ovvero quella di aggirare il Ppr e gli altri vincoli paesaggistici e ambientali. Lo ha tentato nell’ultimo decennio la politica in Consiglio Regionale, sia col centro destra che col centrosinistra, con iniziative abortite sul nascere o impugnate dal governo nazionale. Lo si è tentato con iniziative singole come ad Alghero, anche se occorre considerare che il territorio algherese si è complessivamente salvato dai famelici istinti cementificatori rispetto ad altri territori. Il caso Tuvixeddu ha fatto scuola (ne parlo diffusamente nel mio libro “L’infinita contesa – La tormentata storia della tutela paesaggistica del colle di Tuvixeddu” da pochi giorni in libreria), e in esso un bene paesaggistico che si riteneva ormai irrimediabilmente perduto è stato sottratto alla speculazione edilizia. Per questo per Punta Giglio occorre non darsi per vinti, trattandosi di una vicenda emblematica che può essere oggetto di replica in altri casi altrettanto delicati in Sardegna, in cui la cattiva volontà, la disattenzione e persino una certa compiacenza per il recupero ad ogni costo all’uso commerciale dei beni storici nelle aree più appetibili, la cosiddetta “rifunzionalizzazione”, possono farla da padroni insinuandosi negli spazi lasciati liberi delle leggi, anche quelle più severe.

Da poco ho pubblicato sulla bacheca facebook del gruppo “Alghero per punta Giglio” la foto dello splendido Nuraghe Nolza in territorio di Meana Sardo, aggiungendo amaramente che “se fosse stato realizzato a Punta Giglio, qualcuno avrebbe ideato anche per lui il ‘recupero funzionale’ inventato per le casermette”.

Credo di capire che non ci siano altre alternative che lo stop dei lavori e una ridiscussione complessiva del progetto. La batteria militare costiera avrebbe avuto soltanto bisogno di un restauro conservativo e invece è stata colta l’occasione del programma Cammini e percorsi per una massiccia operazione edilizia del tutto incompatibile. Che ne pensa?

Qualcuno ad Alghero, insinuandosi nei cosiddetti interstizi delle leggi di tutela di cui parlavo e approfittando dell’inerzia della politica locale sui temi urbanistici e paesaggistici, è riuscito nel 2018 ad ottenere dal Comune una concessione edilizia per la realizzazione di un complesso edilizio costruito praticamente sugli scogli di Calabona, una località marina a sud della città ben visibile dalla strada per Bosa. Il complesso, pur con rispetto per l’imprenditore, costituisce un severo richiamo e una denuncia per le responsabilità della politica per la mancanza del nuovo piano urbanistico comunale.

Se avessimo una politica più attenta ai temi paesaggistici e ambientali e dotata di un minimo di sensibilità, i lavori a Punta Giglio verrebbero oggi sospesi se non annullati in via di autotutele e ricercato un accordo con la cooperativa Quinto Elemento per la localizzazione del suo intervento in altri manufatti di minor pregio paesaggistico che esistono nell’area di Porto Conte. Ma non credo che ciò accadrà ed è bastato assistere alle due ultime assemblee del Parco di Porto Conte per rendersi conto che, fatte le debite eccezioni, i consiglieri comunali di Alghero sono distanti da Punta Giglio assai più dei 17 chilometri segnalati dalle cartine stradali.

Il programma “Cammini e percorsi” si proponeva di utilizzare le casermette di Punta Giglio attraverso “l’insediamento di nuovi usi a supporto del viaggiatore, di servizi di accoglienza, di informazione turistica, nonché attività di animazione sociale, culturale e sportiva degli itinerari identificati, una gamma di nuove funzioni in coerenza con i principi del progetto”. Era chiaro dove si sarebbe inevitabilmente arrivati e sia i privati che l’autorità del Parco hanno tentato di utilizzare il museo a cielo aperto come una foglia di fico per nascondere una normale iniziativa imprenditoriale turistica, baciata da più di una colpevole distrazione, da realizzarsi sfruttando una rendita di posizione ingiustificata dal buon senso e non ammessa dalle leggi.

Il progetto originario dichiarato vincitore dal Demanio attraverso un bando pubblico era paesaggisticamente da bocciare tout court ma è stato solo rimandato a settembre e illustri professori si sono messi all’opera per recuperarlo con modifiche mica da niente, alla faccia della par condicio con gli altri 9 concorrenti che avevano partecipato alla selezione e si erano visti preferiti dal progetto della cooperativa Quinto Elemento. Licenziato dalla cooperativa il progettista originario, il progetto è stato ridisegnato da un architetto locale (“La valorizzazione dei professionisti locali”, hanno detto quelli della cooperativa).  Ha dato i suoi buoni consigli in corso d’opera la Soprintendenza ai beni architettonici di Sassari che, dopo la severa censura iniziale, si è trasformata in prezioso suggeritore consigliando e raccomandando le opportune modifiche e il ridimensionamento del progetto. Lo poteva fare, ci mancherebbe altro, ma è un’altra la Soprintendenza che io preferisco.

Ne è venuto fuori un progetto ridimensionato in alcune parti ma eguale nella sostanza a quello originario. Un intervento di pura imprenditoria turistica incautamente rivestito di contenuti pubblicistici che non esistono e che porterà uno stabile insediamento umano nel promontorio, modificandone lo spirito che gli algheresi hanno sempre conosciuto. È lo “Spirito di Punta Giglio” come ho definito in un articolo il genius loci del promontorio, insediatosi nel sito sul finire della guerra. Lo spirito di un soldato morto in guerra, appartenente a tutti gli eserciti e a tutte le patrie, che aveva scelto Punta Giglio come sua ultima dimora per l’eternità. Dopo settant’anni è stato sfrattato dal Parco di Porto Conte per far luogo agli imprenditori venuti da oltre il mare ad insinuarsi negli spazi che nonostante le leggi non abbiamo saputo o voluto vigilare con le nostre istituzioni e che gli abbiamo lasciato a disposizione. Peccato, sarebbe bastato un leggero restauro conservativo delle casermette operato dalla mano pubblica per realizzare il museo a cielo aperto e il nostro Spirito di Punta Giglio sarebbe rimasto lì per sempre. E invece lo hanno cacciato per realizzare una piscina, pensate, scoperchiando addirittura un vecchio deposito dell’acqua per i soldati davanti a quello splendido mare senza confini. Avremmo mai potuto immaginare il nostro promontorio, bello e impossibile, senza piscina? Quando si dice la fantasia al potere”.

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